Cinema

Rileggere Blade Runner, dopo il lockdown

7 Giugno 2020

Il film Blade Runner continua ad affascinarci per la sua poetica dove gli androidi appaiono più umani di noi stessi. Al tempo stesso, la sua visione cupa del futuro ci allarma. Nel film, la tecnologia è progredita molto di più rispetto alla realtà in cui viviamo, ma ha reso il mondo inabitabile, tanto che i facoltosi sono fuggiti dalle polveri che pervadono il pianeta Terra. Il libro da cui è tratto il film, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (tradotto anche come “Blade Runner” o “Il cacciatore di Androidi”) ci appare ancora più attuale.

Il tormentato autore Philip K. Dick scrisse il libro nel 1968, in poche settimane, lavorando senza sosta per la necessità di mantenere gli alimenti alle varie mogli e ai figli. Per mantenersi sveglio, continuava ad assumere anfetamine. Ne scaturì un libro visionario, di cui il film riprende solo l’ambientazione e il tema del cacciatore di taglie costretto a uccidere sei androidi fuggiaschi. La differenza principale tra le due opere è forse la simpatia che lo spettatore assume verso gli androidi. Nel film, essi sono creature romantiche in grado di provare sentimenti umani, ma emarginate, spesso incapaci di interagire con i viventi.

Al contrario, il libro dipinge gli androidi come creature in grado di integrarsi nel mondo umano in modo da non suscitare sospetti. Uno di loro crea un commissariato di polizia parallelo infestato da altri androidi. La ragazza che nel film interpreta una semplice spogliarellista, nel libro si trasforma in una cantante lirica, assassinata dai cacciatori di taglie mentre assiste ad una mostra su Edvard Munch. La loro profondità intellettuale è accompagnata dalla loro spietatezza.

Philip K. Dick presenta due copie glaciali dell’androide amato da Harrison Ford. La prima si cimenta in un terribile esperimento, con il quale toglie le zampe di un ragno, insetti di cui sono rimasti pochissimi esemplari sul pianeta e quindi protetti dagli umani. La seconda è incaricata dalla propria società di fare sesso con i cacciatori di taglie per scatenare in loro un sentimento di empatia verso gli androidi, in modo da amplificarne gli scrupoli morali quando si ritrovano costretti ad ucciderli. Scrupoli che un androide non si farebbe mai.

La parola chiave del romanzo è infatti empatia, sentimento che vive solo negli esseri umani e li contraddistingue. Gli uomini vivono vite solitarie, rese oscure dalla polvere che divora il mondo e il loro organismo, tanto da renderli precocemente vecchi e stupidi. L’umanità si manifesta con la cura degli animali, per cui accudirne uno aiuta a mantenere il proprio status sociale. E tramite l’uso delle scatole empatiche, meccanismi capaci di generare la condivisione delle emozioni e soprattutto il contatto con Wilbur Mercer. Lui è il creatore delle scatole empatiche e il redentore dell’umanità, ma gli androidi rivelano che è una semplice frode.

Malgrado la rivelazione, Mercer continua ad essere amato perché fornisce speranza al genere umano, altrimenti condannato ad affogare in un mare di desolazione e disperazione. Il redentore è amato anche dagli “speciali”, esseri umani danneggiati dalle polveri, le cui capacità intellettive sono tanto ridotte da essere chiamati “cervelli di gallina”. Bistrattati sia dagli androidi che dalle persone comuni, questi personaggi cruciali dimostrano una forte empatia e Mercer regala loro la determinazione alla vita.

Dopo il lockdown forzato dalla crisi sanitaria, l’umanità pare aver ricompreso la propria voglia di empatia, la necessità di riconnettersi con gli altri, quasi a ogni costo. La riconnessione è avvenuta tramite le nostre scatole empatiche contemporanee, ovvero i social network. Il libro di Dick ci aiuta a comprendere il nostro bisogno di socialità e a fare un parallelo tra la realtà visionaria dell’autore e quella di oggi, meno disperata e tecnologica ma dove comunque gli uomini si sentono isolati.

Se forziamo le maglie della fantasia, potremmo pensare a Mark Zuckerberg come un novello Mercer che ci aiuta a connetterci con gli altri, malgrado il funzionamento di Facebook sia ancora poco trasparente. Gli androidi potrebbero essere rappresentati dagli algoritmi che non conosciamo ma che di fatto regolano la nostra vita sociale. Infine, gli “speciali” coloro che dimostrano scarsa intelligenza credendo ad ogni fake news e che con troppo disprezzo chiamiamo “webeti”.

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