America
Richard Jewell, il potere secondo Clint Eastwood
“Richard Jewell”, ultima fatica di Clint Eastwood, è appena uscito sulle principali piattaforme streaming. Si potrebbe considerare come quarto episodio di una serie dedicata agli eroi semplici, comprendente “American Sniper”, “Sully” e “Ore 15:17 – Attacco al treno”. Richard Jewell, deceduto nel 2007 a causa di complicazioni legate al diabete, salvò numerose vite accorgendosi della bomba al Centennial Park di Atlanta, durante un concerto celebrativo delle Olimpiadi del 1996.
L’eroe del titolo appare più sfaccettato rispetto ai capitoli precedenti. Il protagonista è infatti un uomo non solo semplice ma strano e disagiato. Un uomo sovrappeso di trentatré anni che vive con la mamma, il cane e una collezione di armi da fuoco. La sua ambizione è quella di diventare un poliziotto per servire la legge, riesce a farsi assumere solo come guardia giurata, ma perde il lavoro perché si immedesima troppo nel ruolo del tutore della legge. Secondo l’FBI, il suo profilo sarebbe quello dell’attentatore solitario che pone la bomba per sventare l’attacco e diventare l’eroe del momento.
Il film diventa una scusa per criticare il potere, quello federale e quello mediatico. Sono sufficienti poche illazioni perché FBI e carta stampata si convincano della colpevolezza di Richard e iniziare il gioco al massacro. I mass media sono rappresentati dalla giornalista d’assalto disposta a far sesso per avere notizie fresche dal suo informatore dell’FBI. La scena è sfortunata perché negli Stati Uniti ha attirato evitabili polemiche sul modo di ritrarre le giornaliste. Polemiche aggravate dal fatto che il personaggio reale, Kathy Scruggs, è morta pochi anni dopo i fatti narrati, probabilmente depressa a causa degli strascichi della vicenda.
Se la giornalista matura nel corso del film, fino ad una parziale redenzione, l’FBI appare inutile e dannosa fino alla fine. Lo stesso personaggio disposto a fare sesso con la giornalista, compie una serie di errori imperdonabili. In particolare, utilizza mezzi bassi e infimi per portare alla confessione il protagonista, personaggio psicologicamente fragile. Infine, non appare neanche in grado di convincersi dell’innocenza di Richard, malgrado l’assenza di prove.
Il contraltare del potere è Watson Bryant, l’avvocato di Richard Jewell. I due si erano conosciuti dieci anni prima, quando Watson si era distinto per il comportamento umano nei confronti del problematico Richard. L’avvocato è la figura di rottura, che crede solo in quel che vede, senza preconcetti verso i disagiati. Dietro la scrivania ha un adesivo con scritto «Temo più il governo che il terrorismo». Agli occhi dello spettatore, il suo lavoro non sembra tanto quello di provare l’innocenza del suo cliente, quanto quello di convincere il protagonista che quegli uomini che cercano di incastrarlo non sono le ammirabili istituzioni, ma solo «tre coglioni che le rappresentano».
L’aiutante dell’eroe incarna la sfiducia nel governo americano. La questione diventa così politica. Se siamo convinti che il governo americano non funziona perché pieno di incapaci, come possiamo cambiare la realtà? Fino a pochi anni fa, la risposta appariva scontata, ovvero maggiore libertà, intesa come meno tasse e più armi. Una risposta ultra-libertaria, spesso incanalata da movimenti come il Tea-party, ormai assorbiti dall’ascesa di Donald Trump.
Oggi, il movimento di Bernie Sanders esprime la stessa sfiducia nelle istituzioni, ma formalizza una risposta basata sull’equità, sulla democrazia e sul diritto all’assistenza sanitaria. Il governo deve servire i cittadini non perché armati di fucili, ma perché in grado di far sentire la propria voce organizzandosi in movimenti di base.
In un momento del film, Watson Bryant sembra criticare la passione per le armi da fuoco mostrata dal suo cliente. Ma sarebbe stupido, per i supporters di Sanders come il sottoscritto, utilizzare questa frase come indizio delle preferenze del regista. Più intelligentemente, il vecchio repubblicano Clint Eastwood, conservatore di ampie vedute, lascia la risposta aperta. L’artista pone la questione, ma il compito di trovare la soluzione spetta allo spettatore informato.
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