Cinema

Player One. Steven Spielberg porta al cinema il libro nerd di Ernest Cline

3 Maggio 2015

“Sembra un sogno” confessa lo scrittore statunitense Ernest Cline alla notizia che Steven Spielberg porterà sul grande schermo il suo primo e fortunato romanzo fanta-nerd. Un sogno, ma anche il percorso naturale di una storia omaggio alla cultura pop anni ’80. E che titolo perfetto per Steven Spielberg: Player One. Si direbbe la sua perfetta job description, il titoletto da mettere sotto al nome nel biglietto da visita: Giocatore numero uno. Il giocherellone top. Non c’è dinamica da videogame che non abbia magistralmente – e spesso preventivamente – portato sullo schermo. Modalità Pong, batti-e-ribatti binario: Duel, il film con il camion che morde l’uomo. Modalità Arcade, versione Crazy Kong: lo Squalo, un Leviatano acquatico da cui liberare la Comunità a costo di lottare con barili esplosivi, scalette. Modalità Simon/ giochi mnemonici: Incontri ravvicinati, con la sequenza di note giusta per celebrare (officiante: François Truffaut) il giorno dell’amicizia tra umani e marzianini. Modalità Arcade/ tendenza Space Invaders: La guerra dei mondi (apocalittico, sottovalutato, con l’ineffabile banalità del male degli extraterrestri cattivi). Modalità esplorazione/nonlineare: Indiana Jones, la trilogia. Modalità sparatutto in prima persona: Salvate il soldato Ryan (almeno il fulminante sbarco in Normandia). Modalità MMORPG: A.I. oppure Minority Report, due film nati distopici ma che sembrano destinati ad apparire, in prospettiva, come caposaldi del Neorealismo aumentato (genere nascente, che sarà legato a caschi e visori più degli attuali videogame ingenuamnete “virtuali”). E in questa spirale di nerdismo anche terminologico (ma si dice ancora, Massively multiplayer online role-playing game?) arriviamo  a Player One, il romanzo.

Il titolo originale, Ready Player One, è la schermata di avvio dei videogiochi prodotti all’inizio degli anni ’80. Qui invece siamo nel 2044 e tutto va male. Il crollo del petrolio e la crisi energetica sommergono le grandi città di rifugiati delle aree periferiche e rurali circostanti. I parcheggi di case mobili si espandono e diventano le cataste, “un bizzarro ibrido tra le baraccopoli, le abitazioni abusive e i campi profughi”. Spesso consistono di venti o più case mobili impilate e ciascuna brulica di disperati alla ricerca di un lavoro, di cibo, elettricità e soprattutto un accesso abbastanza stabile a OASIS, il gioco multiplayer online con milioni di utenti, la realtà virtuale che l’umanità usa ormai quotidianamente (no, non è Facebook, più Second Life). Per collegarsi a OASIS servono una consolle, un visore e dei guanti speciali. Una volta collegati si accede a scuole virtuali, mondi virtuali, librerie infinite e chat room segrete. Le persone vivono tranquillamente attaccate all’utopia di OASIS, ricordandosi di tanto in tanto di mangiare e dormire. Il creatore, James Halliday (un po’ Jobs, un po’ Gates e un po’ Wizard), è l’uomo più ricco del mondo e non avendo eredi registra un videomessaggio che spiega come accaparrarsi le sue fortune: si tratta di trovare un Easter Egg (ossia una sorpresa nascosta, come da antica tradizione dei programmatori di videogame) nelle pieghe recondite di OASIS. Dopo la morte di Halliday la Caccia all’Easter Egg si diffonde in tutto il pianeta, facendo nascere una nuova sottocultura tra i milioni di individui che passano le giornate alla ricerca dell’Egg, i gunters (contrazione di Egg Hunters, “cacciatori di uova”). Gli indizi per trovare l’Egg sono tutti basati sulla cultura pop anni ’80. Il gunter numero uno sembra subito essere il nerd Wade Watts, orfano teenager sovrappeso che nella vita reale vive con la zia in una catasta ma su OASIS, dove risponde al nick di Parzival, ha una reputazione niente male, anche considerando che la sua povertà reale si riflette sulle azioni che può effettuare on line. Man mano che la Caccia va avanti un gruppo di cinque gunters dal cuore tenero, fra cui lo stesso Watts, si troverà ad affrontare i complessi enigmi di Halliday e gli attacchi – anche reali – di una corporation cattiva, la IOI, che cerca di accaparrarsi il bottino col suo esercito di avatar imbroglioni pronti a tutto.

Il libro, scritto da un nerd per i nerd, è zeppo di citazioni, dalle console ai videogiochi, dai film alle band musicali, ed è quasi un miracolo che abbia una trama avvincente, con tutte le caratteristiche della grande avventura. Raccontare la rete in un libro (o al cinema) basta di solito a rendere il tutto anti-interessante: Ernest Cline riesce invece a farci navigare in un mare enorme di dettagli geek compensando ogni deriva con una solida suspence. Si manda giù di tutto pur di continuare a seguire la narrazione videoludica e perfino il finalone anni ’80 non irrita, conferma e consola. Quel picchiatello di Cline, felice possessore di una DeLorean modificata come quella del film Ritorno al Futuro, ha pure inventato un concorso per i suoi lettori, una Caccia nella Caccia, mettendo in palio l’auto.

L’attesa di legioni di nerd (presente!) fa della nascitura pellicola una sorta di cult annunciato. “Non si esce vivi dagli anni ’80”, cantavano gli Afterhours. Rivisitarli in compagnia del regista di E.T. e dell’autore di questo brillante romanzo sarà un vero piacere.

 

Ernest Cline

 

 

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