Cinema
Morte a Miami
Scivola su un fondale di nuvole dorate l’occhio di Ryan Murphy che sull’incedere dell’adagio di Albinoni incrocia la sguardo dell’ultimo risveglio del suo Gianni Versace; inizia così la seconda stagione di American Crime Story dedicata all’omicidio Versace e costruita in buona parte sul libro inchiesta Vulgar Favors di Maureen Orth.
La narrazione della vicenda parte dal suo epilogo e da subito il regista omaggia la storia del cinema italiano con una citazione de La morte a Venezia di Luchino Visconti.
Aschenbach/ Versace esteta a cui non resta che contemplare il proprio declino muore sulle note di Mahler/Albinoni mentre Tazio/Cunanan emerge dalle acque del mare/oceano.
C’è molta Italia vista dall’America in questa serie, Versace stesso fu il più americano degli stilisti europei, e quando quasi all’inizio del primo episodio Cunanan lo incontra, parlando della madre italiana dirà che la stessa non ha mai visto l’Italia proprio per preservarne l’idea di perfezione che se n’è fatta.
Le origini del mito, lo sguardo di medusa, l’infanzia incantata tra le rovine di un mondo classico potranno sembrare sovraccariche ma sta proprio nella luce abbacinante di un classicismo pop, nelle residenze esclusive, nell’ostentazione del lusso e nella celebrazione del proprio gusto che Versace riscatta una diversità ancora lontana dal territorio dei diritti civili.
Questa non è la ricostruzione dei fatti ma la loro interpretazione. Le relazioni elettive o effettive che porteranno Cunanan a uccidere Jeffrey Trail, David Madson, Lee Miglin e Gianni Versace sono il filo rosso che si dipana per l’intera narrazione delle nove puntate.
Cunanan è un angelo vendicatore, un mitomane, uno psicopatico, un tossico, una marchetta, un figlio di immigrati caricato a pallettoni di frustrazione con un quoziente intellettivo alto, un conto corrente basso e un’ambizione spropositata. E quando il mondo non restituisce la posizione reclamata ecco morire Lee Miglin, protettore attempato, sposato, emblema del sogno americano, e forse per questo ucciso e torturato da Cunanan fino ad essere oltraggiato in morte poiché l’assassino si fa scrupolo di cospargere la scena del delitto con riviste gay pornografiche; quasi a voler allestire il teatrino di una sordida confessione postuma.
Nel modus operandi dell’omicida c’è sempre lo specchio della sua abiezione.Giganteggia la dignità di una vittima come Jeffrey Trial, giovane ex ufficiale di marina, ostracizzato in quanto gay dal mondo militare, fieramente patriota in un paese che lo rifiuta e che muore trucidato dai colpi di martello del suo ex amante.
La visione della fuga/sequestro di David Madson è quasi emotivamente insostenibile. La mansuetudine con la quale la vittima sembra accettare il suo destino, la sua mancata fuga, l’angoscia per una dignità offesa dal sospetto e la progressiva consapevolezza della morte imminente si contrappongono al dissolvimento psichico del suo carnefice fino a mostrarne e quasi comprenderne la disperazione, la desolazione e la solitudine.
Siamo molto lontani dal ritratto dell’ esteta psicotico e geniale alla Hannibal Lecter, eppure anche nella sua vacuità, nella sua insulsaggine disperata e caotica il killer diventa seriale, astuto, quasi infallibile fino al suo ultimo misterioso delitto.
La serie si apre e si chiude con due puntate dedicate all’omicidio dello stilista, ma non si tratta di un occhio puntato sul buco della serratura del clan Versace, piuttosto di un racconto a tratti fantastico dove l’assassino incontra la sua vittima, la seduce e la interroga.
Il collasso di questi due universi onirici eliminerà anche i propri sognatori ai quali non resta che ingaggiare la danza macabra che li condurrà alla tragedia.
E proprio in una visione che lo stilista incontra il suo assassino, sono davanti a uno specchio, Cunanan si sta provando un abito che lo stilista aggiusta, misura e osserva mentre pazientemente ascolta il ragazzo.Questi non fa altro che urlare la sua rabbia verso il credito abissale che la vita avrebbe verso il suo valore, la sua generosità e il suo talento ma quando sdegnato dice allo stilista che il loro destino è troppo diverso pur essendo uguali si sente rispondere che no, non sono uguali perché uno a differenza dell’altro è amato.Questo è il movente del delitto secondo gli sceneggiatori.
Ma il pettegolezzo che circola a ridosso della tragedia e che forgia il titolo della Orth è pesante, Cunanan si sarebbe vendicato di Versace in quanto infettato dal virus, è la stessa autrice tuttavia a smentire questa tesi esibendo il referto delle analisi negative sul cadavere di Cunanan, che si suiciderà a pochi giorni dalla tragedia.
ll pettegolezzo è una forma di verità consentita, ma non è la verità. Negli anni novanta un uomo gay poteva ammalarsi di una cosa sola, e le voci inerenti la malattia di Gianni Versace circolavano nella piccola Milano.
Anche se poco importa oggi sapere se lo stilista fosse o non fosse sieropositivo, perché fare del proprio dolore una battaglia attiene forse più alla santità che all’umanità, gli sceneggiatori decidono di dare credito alla ricostruzione della Orth e mostrano un uomo minato dalla malattia ma che si sta riaffacciando alla vita grazie alla nascita di nuove terapie.
L’attenzione per il clan Versace sembra più soffermarsi su un’idea lesa di diritti civili, perché se alla famiglia toccano l’eredità artistica e sostanziale dell’azienda, l’ex compagno Antonio D’Amico verrà progressivamente privato della frequentazione delle case come dell’appannaggio a lui destinato.
Una estromissione che assomiglia a una punizione nell’effetto domino di un regolamento di conti immaginario che resta come un dito puntato sulla vicenda.
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