Cinema

Montalbano, atto finale

9 Marzo 2021

Ieri sera, verso le 23:50, ci ha lasciato Salvatore Montalbano detto Salvo. La sua morte, inaspettata per i più ma auspicata da molti altri, ha reso la televisione di Stato una novella Andromaca. E, come nella migliore tradizione della tragedia greca, mentre la madre piange il figlio perso per sempre, i coreuti ricordano le sue doti e le sue virtù.
Non ce ne sarà un altro come lui, dicono i suoi fedelissimi, quelli che l’hanno seguito e amato fedelmente per tutta la sua vita che, seppur breve, li ha accompagnati in un sogno proibito di riscatto e di primato.

La cosa che andrà ricordata per sempre, però, non sarà la sua vita ma, ahimè, la sua morte. Una morte circondata da tristezza, impotenza e da sfuggente senso d’incoerenza. Una morte la cui reale narrazione sarà negata in nome degli antichi splendori.

Ieri sera è andato in onda sulla rete ammiraglia della Rai, con una media di 9.016.000 spettatori, “Il metodo Catalanotti”, ultimo episodio della saga camillieriana iniziata nel 1999. L’episodio si colloca al 23esimo posto, su un totale di 37 episodi, nello storico ascolti del commissario Montalbano. L’episodio più visto resta “La giostra degli scambi” con 11.386.000 Spettatori andato in onda nel 2018. Non solo ma l’episodio di ieri sera risulta essere il meno visto dal 2008 a oggi.

Morte di un eroe? Innanzitutto morte di un contesto letterario che, seppur criticabile, aveva ben definito un carattere che però, episodio dopo episodio, è sempre stato più labile e confuso. Certo che Luca Zingaretti non assomigliava al personaggio originariamente nato dalla penna di Andrea Camilleri, scrittore, sceneggiatore, regista, drammaturgo e docente siciliano. La sua fisicità, il suo incedere alla John Wayne, non rappresentavano assolutamente il commissario che si leggeva sulla pagine dei primi romanzi ma, si sa, di necessità virtù. Col tempo, Montalbano è sempre stato più Zingaretti e la sua fisicità, troppo spesso ostentata, è servita come calamita.

La regia della serie è stata curata fin da principio da Alberto Sironi, scomparso nel 2019, riconosciuto come il padre del Montalbano televisivo sia per la capacità di rendere sul piccolo schermo l’estetica pseudo-barocca dei territori che hanno fatto da sfondo alle vicende, sia per la scelta di Luca Zingaretti come protagonista. Questo nonostante l’iniziale parere contrario dello stesso Camilleri come raccontò lo stesso Sironi che ebbe a dire: «quando gli dissi della mia scelta sbottò: “Io lo avevo immaginato diverso, ho scritto un’altra cosa”» il quale, peraltro, era stato docente dell’attore quando questi aveva frequentato in gioventù l’Accademia nazionale d’arte drammatica. Zingaretti, di origine romana, ha inoltre dovuto adeguare la sua parlata al siciliano immaginario di Camilleri per meglio entrare nel personaggio.

Un commissario particolare, il Montalbano di Camilleri, il cui nome venne scelto dal suo creatore in omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, ideatore di un altro famoso investigatore, Pepe Carvalho. Oltre all’omaggio, Camilleri, ha clonato dall’investigatore catalano l’amore per la buona cucina e le buone letture, anche se non abbiamo mai visto il Montalbano televisivo leggere libri, i modi piuttosto sbrigativi e non convenzionali nel risolvere i casi e storie d’amore controverse e complicate con donne anch’esse complicate. Almeno fino al consolidamento del suo rapporto con la genovese Livia Burlando, con la quale ha un rapporto talvolta burrascoso, ma nel quale è sempre prevalso sempre l’amore. Ma, come spesso accade, sempre non è per sempre e, proprio ne “Il metodo Catalanotti”, Montalbano vive una forma di nostalgia verso un’età che ha vissuto e non potrà più tornare. L’elemento di disturbo non è rappresentato da Ingrid Sjöström, la bella svedese da tempo trapiantata a Vigata, continua provocatrice del macho alla siciliana e sparita dalla serie come il giornalista d’inchiesta Nicolò Zito interessante partner narrativo, ma da una nuova giovane collega, interpretata dall’affascinante Greta Scarano, che scuote profondamente Montalbano sino a fargli dimenticare tutti i punti fermi della sua vita, la sua passione per il lavoro e, soprattutto, il suo amore per Lidia. Lo stesso epilogo ci racconta un Montalbano che dimostra come la sua vita televisiva avrebbe dovuto terminare da tempo. È tipico dei fenomeni volere sempre di più da se stessi, spesso ignorando i propri limiti e la sorte. È successo anche a Salvo Montalbano che non rimpiangeremo. La scelta di sedere sulla sedia del regista e contemporaneamente auto dirigersi davanti alla macchina da presa non ha prodotto buoni risultati. Ne è uscito un racconto didascalico degno delle peggiori soap opera di sudamericana memoria. E non hanno certo aiutato i dialoghi, altrettanto didascalici, e nemmeno la presenza di Cesare Bocci, nei panni di Mimì Augello, e Peppino Mazzotta, in quelli di Fazio, che hanno subìto l’alienazione di un uomo senza comprenderla, vivendo una storia mal raccontata e girata con approssimazione. Gli stessi ampi spazi fisici, i colori dell’isola siciliana, il suo mare sono diventati un appunto sulla cartolina di addio.

Addio Montalbano, ti rimpiangeranno solo i coreuti della tragedia andata in onda con quest’ultimo episodio. Non potranno più apprezzare la tua fisicità nelle lunghe nuotate in mare e non potranno più sognare impossibili incontri ravvicinati con il più improbabile commissario di Sicilia. Amara consolazione. Ci rimangono i romanzi usciti dalla penna di Camilleri, con il loro improbabile Montalbano che si muove in una Sicilia da cartolina costantemente a cavallo tra pseudo tradizione e para-modernità senza mai trovare il giusto equilibrio e narrati in un pseudo-linguaggio che, negli anni, è diventato la cifra stilistica dell’autore.

Ad maiora, Montalbano. Ad maiora, Luca Zingaretti, sperando che tu possa presto uscire dal tunnel di questo personaggio che oggi, anche a causa della tua complicità, non ha più ragione di esistere se non nelle repliche che la Rai continuerà a programmare.

(Ro.G.)

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