Cinema
Milazzo Film Festival, la primavera siciliana del cinema
Nella cittadina sul golfo omonimo si è svolta la seconda edizione della rassegna sotto la direzione di Mario Sesti e Caterina Taricano. Quattro giorni di incontri, proiezioni e rassegne con l’amore per il cinema indipendente al centro di tutto
In tempi in cui lo scollamento fra le classi sociali sembra ormai così profondo da essere diventato irricucibile, tanto che non abbiamo più neanche le parole per descriverlo, il cinema continua a rappresentare forse l’unica arte che unisce; fatta di mestiere intellettuale e popolare insieme, di arte ricca e povera, capitalismo e gratuità. Sapienze e competenze tenute insieme dal ruolo che più e meglio le incarna: quello dell’attore, il vero giostrante del cinema, la sua anima plurima, trait d’union fra le tradizioni più popolari e di strada e il lusso di un mondo capace di far sognare per la sua esclusività. Il Milazzo Film Festival Attorstudio riesce ogni anno nell’impresa di portare al centro il mistero dell’attore, e disvelare il senso di quest’arte coinvolgendo grandi nomi del cinema italiano in conversazioni fra amici, guidate dalla stima e dalla fiducia nei confronti dei due direttori artistici della rassegna, Mario Sesti e Caterina Taricano: conoscitori esperti e capaci tessitori di rapporti di stima e d’amicizia con i più grandi interpreti. Dal 6 al 9 marzo scorso le abitanti e gli abitanti di Milazzo hanno così avuto modo di ascoltare i professionisti premiati nell’edizione di quest’anno – Sergio Rubini, Vanessa Scalera, Sonia Bergamasco e, in collegamento, Francesco Gheghi – riflettere sul valore di ciò che fanno e dargli un senso colto, profondo, pur nella semplicità con cui si sono raccontati. Dal rapporto con la serialità e come ha cambiato il loro mestiere, centrale nella carriera di Vanessa Scalera, la più applaudita e ricercata fra le star del festival di quest’anno insieme a Rubini, che ha riscosso grandi consensi dalla platea più giovane; alla ricerca ideale e quasi filosofica nel processo creativo del recitare e del fare film, raccontato da Rubini e da Bergamasco, entrambi registi oltre che attori. Bergamasco, autrice per Einaudi di un affascinante libro presentato proprio a Milazzo, una “biografia del mestiere di attrice” come recita il sottotitolo intitolata “Un corpo per tutti”, ha raccontato con grazia unica il lavoro svolto attorno al personaggio di Eleonora Duse per il suo primo film documentario, “Duse – The Greatest”, dedicato, in occasione dei cent’anni dalla sua nascita, alla straordinaria personalità dell’attrice che del cinema diffidò sempre, convinta che fosse lo spazio del teatro il più adatto a dare corpo alle storie. Ed è proprio sul rapporto con quest’ultimo, con il corpo, con la fisicità dei ruoli interpretati in una carriera già lunga nonostante la giovane età, che si è soffermato anche Francesco Gheghi nelle sue riflessioni e interviste.
È stata un’edizione che ha avuto una protagonista indiscussa: la musica. Brillante l’idea di inaugurare una sezione di accompagnamenti musicali dal vivo a spezzoni di pellicole storiche siciliane, risalenti agli anni ’20 del secolo scorso. Stralci della vita popolare, da quella dei pescatori al percorso della prima ferrovia, alla costruzione delle abitazioni di fortuna subito dopo il terremoto, tutti restaurati dal Museo Nazionale del Cinema di Torino. E sono stati suggestivi in particolare gli accompagnamenti del musicista Fabio Sodano, anche lui premiato dal Festival con lo Scarabeo d’Argento, che ha scelto come strumento da far conoscere al pubblico il duduk, un flauto di antica origine armena considerato dall’Unesco Patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Ma la musica è stata anche il filo conduttore di tanti dei film trasmessi in questa edizione: musica realmente suonata anche davanti le telecamere, come ha spiegato il regista Marco Tullio Giordana che ha diretto proprio Sonia Bergamasco ne La vita accanto, tratto dall’omonimo romanzo di Mariapia Veladiano. “Ho lavorato due volte con Sonia e per due volte le ho chiesto di suonare”, ha raccontato il regista sul palco, poco prima di essere anche lui premiato con lo Scarabeo d’argento. “E tutta la musica che ascoltate nel film è realmente suonata, non ci sono effetti speciali, le mani sul pianoforte sono quelle delle attrici”. Bergamasco, pianista diplomata al Conservatorio di Milano, è stata una musicista per Giordana già ai tempi de “La meglio gioventù”, l’opera anticipatrice della serialità televisiva italiana, uno dei capolavori, insieme a “I cento passi”, per i quali Giordana è amato dal grande pubblico nazionale come uno dei registi più profondamente politici. In un breve scambio di battute con Gli Stati Generali, il regista milanese si è mostrato tuttavia restio a rivendicare qualsiasi titolo di regista politico: “Le opere hanno vita e valore totalmente autonomo rispetto a chi le realizza”, ha commentato. “Non facciamo questo mestiere per rivendicarne un valore, ma per offrire qualcosa al pubblico, senza poter pretendere di controllare che cosa il pubblico ne ricaverà”.
La musica è stata, ancora, grande protagonista della sezione dei film in concorso del Milazzo Film Festival. Da sempre, il festival organizza due sezioni di concorso dedicate ai filmaker indipendenti. Nella sezione Corti di quest’anno, che prevedeva numerosi premi, quello per il miglior film breve in assoluto è andato a “The Ballad”, di Christopher Nilsson, storia di un rider ribelle, con echi à la Parasite, già premiato in numerosi festival internazionali.
Nella sezione dei lungometraggi, invece, dedicata proprio al documentario musicale, la scelta della giuria, di cui chi scrive ha avuto il piacere di far parte insieme alle colleghe Fulvia Caprara de La Stampa e Gloria Satta del Messaggero – quest’ultima premiata dal Festival con lo Scarabeo d’argento Culture&Media come riconoscimento alla sua lunga e brillante carriera, sempre per la stessa testata – è caduta sul sorprendente Kissing Gorbaciov, film del 2023 dei registi Andrea Paco Mariani e Luigi D’Alife. La storia di un incontro storico “fra uno sfacelo e uno sfacelo”, nelle parole di Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP, qui riuniti per l’occasione: raccontare di quella congiunzione astrale che nel 1988 fece sì che un gruppo di giovani amministratori del PCI dell’estremo sud italiano, Melegnano in un Salento non ancora quel Salento, riuscisse a organizzare un concerto all’aperto invitando una serie di band punk-rock russe a suonare, con il benestare convinto del Cremlino. In quella serata, a cui parteciparono anche alcune band italiane fra cui i Litfiba e i CCCP, si misero le basi per un viaggio altrettanto storico di queste stesse band in Russia, per una serie di concerti nella straniante Mosca, prossima al precipizio del suo mondo, e nell’entusiasta Leningrado, già proiettata verso l’Europa.
Un incontro fra due illusioni e disillusioni, fra idee dei reciproci mondi ben lontane, in entrambi i casi, dalla realtà. Il socialismo reale così diverso da quello idealizzato dall’Italia, il liberalismo reale così lontano dai ritratti ingenui che molti artisti russi se n’erano fatti.
Un film in stato di grazia, pienamente cinematografico, per una storia che non è il classico “biopic” documentale di un grande artista – di grande impatto in questo senso altri film in concorso, fra cui Nero a metà su Pino Daniele, firmato da Marco Spagnoli, e Vengo anch’io di Giorgio Verdelli, su Enzo Jannacci – ma il racconto di un episodio della Storia talmente improbabile, quasi una quarta dimensione, da vestirsi di poesia e di lucida follia.
Il cinema permette salti quantici. Non solo verso vite che non sono la nostra, ma verso vite che abbiamo vissuto, Storie che sono la nostra, e che tuttavia non ricordiamo neanche più, persi come siamo in un presente privo di profondità di campo. Il Milazzo Film Festival, organizzato con cura ogni anno dall’associazione di cinefili appassionati “L’altra Milazzo” – persone che non lavorano nel mondo del cinema ma lo amano tanto da volerlo portare nella loro cittadina ai massimi livelli di professionalità possibile – ha cucito per qualche giorno questa profondità, celebrando il mestiere dell’attore, la sapienza del cinema e la bellezza di potersene riempire.
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