Cinema
Matteo Garrone: la madre della vittima, chiede di bruciare il film. E’ giusto?
Nel 1988 Bernard Koltès scrive un dramma, Roberto Zucco, incentrato sul giovane criminale Roberto Succo, assassino del padre e della madre e di tanti altri, prima di suicidarsi. Le vittime alzarono grida indignate di protesta. Anche quando il dramma fu rappresentato a Genova nel 1992. Ora sento che la madre della vittima del “canaro” chiede che si bruci il film di Garrone, in visione a Cannes, e ispirato a quell’atroce vicenda.
Il dolore, qualunque dolore, va rispettato. Ma non dà diritto di proibire che chiunque affronti, in un film, in un dramma, in un romanzo, i fatti che hanno provocato quel dolore. Goethe fu accusato di avere istigato molti giovani al suicidio, scrivendo il Werther. Koltès di avere fatto un eroe di un criminale. E ora Garrone di avere travisato la vicenda, di offrire un’immagine negativa della vittima. Sono accuse infondate, non perché non possano riferirsi ai fatti in questione, ma perché i fatti non riguardano il film, il dramma, il romanzo. Fosse anche un romanzo che racconta perfettamente una rapina, come A sangue freddo di Capote.
Mi dispiace per il dolore di chi se ne sente implicato. Ma costui guarda il fatto da una prospettiva sbagliata. Lo scrittore, il dramaturgo non ha il dovere di giudicare, ma solo di rappresentare. Il giudizio è lasciato al lettore, al pubblico. Rileggete attentamente Macbeth. Non c’è un solo momento di giudizio sui crimini di Macbeth. Salvo le imprecazioni delle vittime. In compenso il meccanismo che scatena inesorabilmente la catena dei delitti è rappresentato con tragica e fortissima evidenza. Hitchcock non si comporta diversamente: guardate, per esempio, La finestra sul cortile.
Non ho ancora visto il fim di Garrone, e dunque non posso esprimermi al riguardo della sua riuscita come film. Ma è solo di questo che si deve parlare, quando si parla di un film. Il resto, è dibattito interiore che deve smuovere le coscienze del pubblico. In questi giorni si sta rappresentando a Siracusa l’Eracle di Euripide. Tragedia terribile in cui un uomo, un eroe, uccide la moglie e i figli. Euripide non si pronuncia mai. Rappresenta: la follia dell’assassino, il dolore delle vittime e dei superstiti, compreso l’assassino, quando prende coscienza di ciò che ha fatto. Allora: Shakespeare e Euripide possono rappresentarlo questo orrore, perché i personaggi non sono persone che conosciamo? E chi stabilisce questo limite, chi proibisce di rappresentare la realtà che conosciamo, che ci è abituale? E soprattutto: siamo sicuri di conoscerla, questa realtà, solo perché ci è familiare?
Sono domande. Non ho risposte. E questo fa un film, un dramma: pone domande, non dà risposte. Tanto meno risposte consolatorie: i buoni premiati i cattivi puniti. Sul limite tra cattiveria e bontà la moderna neurobiologia istilla molti dubbi, pone molte domande. Accuseremo la neurobiologia di liquidare il libero arbitrio, la responsabilità? Qualcuno lo fa, molto scandalizzato. Ma – e se la neurobiologia avesse ragione? In ogni caso: sono problemi, domande. Non ci sono risposte facili, semplici. La realtà è sempre complessa, le domande che pone complesse e risposte semplici non esistono. La richiesta di far tacere tutto, di proibire che se ne parli, è una risposta sbagliata, non elimina il problema, elimina la domanda.
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