Cinema
Marilyn, senza neanche la goccia di Chanel
Intrigato dalla lettura di alcune critiche, ieri ho visto “Blonde”. Per Diana, è un film di una complessità strutturata che fa selezione di critici e pubblico! Non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte a qualcosa di così altamente tragico, metodologicamente indagato, esclusivamente raccontato. Non so da dove cominciare per scriverne, so solo che ci andrò coi piedi di piombo: credo, infatti, che l’opera di Andrew Dominik non offra nessuna lettura in superficie, anzi, se devo dirla tutta è proprio priva di una superficie, e quel che si vede sin dai primi fotogrammi è già profondità, abisso, vortice.
E così ti ritrovi risucchiato dentro il mulinello di immagini della vita di Marilyn con la sensazione netta che si tratti di un’esistenza votata al dolore e al tormento. E per quanto inverosimile, o parossistico possa sembrare, credo finanche che il regista – non so quanto volontariamente – abbia immaginato la diva in una sorta di laica e terrestre santità. Marilyn, che suscita una intensa e potente pietas e, dunque, una madonna postmoderna? E, perché no?! Certo, suona come una verità inedita, per cui m’imbatto per una strada non percorsa e, magari, ritenuta pure impercorribile, ma non per questo la congettura è da scartare.
Per quanto mi riguarda, attribuisco al film una duplice funzionalità, che non è soltanto quella inerente alla sua cifra estetica, scenografica e di scrittura: credo fermamente che un lavoro del genere dia conto, oltre che di valori e contenuti artistici, anche della superficialità dei ciabattoni che ne scrivono sulle riviste e sui giornali. Come si può, infatti, al cospetto della complicatezza armoniosa del film, alla scientificità di carattere psicologico che ne muovono le scene, a un impianto narrativo sofisticatamente rivelatore, sentenziare grossolanamente che si tratti di un “film antiabortista”, isolando l’episodio dal contesto e adeguando il giudizio alle conformità che ruotano intorno a un argomento di attualità? Nel film, per intenderci, Marilyn Monroe è costretta ad abortire illegalmente per due volte. E questo le procura angoscia e depressione. In una scena molto toccante, la star parla con un feto creato al computer che le chiede: “Non mi farai del male questa volta, vero?” Ecco, da qui, nasce l’esigenza di ideologizzare il film, come se quella scena non delimitasse il vissuto spiacevole di Marilyn e non rappresentasse una sua pulsione sensibile, ma fosse stata messa lì a vantaggio di una posizione ideologica. Quale miserabile visione! Del film si è parlato anche come di un “incubo allucinato e fantasmatico”, o di un “Horror uterino”.
Ovvio che servirebbe uno sforzo e porsi qualche domanda per tentare di comprendere la fatica di Dominik, in cui, meglio sottolinearlo, appare una Marilyn immaginaria, non necessariamente corrispondente alla realtà storica della sua biografica. Cosa, in realtà, muove la vita tragica di Marilyn? Nel film appare evidentissima la schifezza di un sistema sessista che sovrintende alla vita e, dunque, ad Hollywood.
E questo costituisce un primo grado di consapevolezza. Naturalmente ve ne sono altri, posti ben più in alto, su cui dovremmo riflettere una volta che ne siamo venuti in possesso.
Il film ci dà l’occasione per interrogarci sulle fonti delle nostre opinioni, sul processo di maturazione dell’idea che ci facciamo delle cose e delle persone, siano esse star o persone semplici, e offre alla critica un’occasione rara per dimostrarsi pertinente, pregante, titolare di una capacità di analisi che va in profondità, oltre che di una scrittura semplicemente intellegibile. Chi si dimostra disturbato dal film, lamentando che ha spazzato via la magia del ricordo di Marilyn (quella della goccia di Chanel N.5) non riesce a capire che il suo atteggiamento decreta il successo più genuino di ciò che ha visto sullo schermo: indipendentemente dal giudizio sul film, “Blonde” riesce a tirare fuori dal pubblico più di quello che l’opera stessa avrebbe voluto dire. È un film davvero strano: penso addirittura che leggendo le critiche negative che gli si rivolgono, purché scritte con metodo, sia possibile risalire agevolmente ai suoi pregi.
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