Cibo
Lunchbox, ovvero le delizie dell’India contemporanea
Lo ammetto, questa recensione è totalmente di parte. Sarà perché soffro di mal d’India, ma Lunchbox mi ha conquistato. Una vera recensione vi parlerebbe probabilmente del regista, Ritesh Batra, della sceneggiatura, dei pregi della fotografia, sobria e quasi fredda. Invece questo è un commento di pancia, e di cuore.
E’ un film delizioso, e non solo perché è incentrato sulla cucina indiana. E’ una fiera dei sensi, mentre ammiri le “schisciette”, i lunchbox, che la protagonista prepara quotidianamente rimpiangi di non poter sentire il profumo delle spezie utilizzate. Il cibo è protagonista. Quando il padre di lei muore, la madre, sotto shock, afferma di avere fame, di avere voglia di un paratha. Il cibo è vita, è vitalità e risveglio dei sensi. Questo film mi ha ricordato La vendetta della melanzana, di Bulbul Sharma, pubblicato in Italia da Marcos y Marcos. Anche lì, la cucina è protagonista, ma oltre a regalarci una serie di racconti, l’autrice ci passa anche le sue ricette. Qui purtroppo ci limitiamo a sapere che vengono da un quaderno appartenuto alla nonna della protagonista.
La delizia del film non si ferma però alla cucina. Delizioso è il modo in cui ci viene raccontato il nascere di un amore, attraverso uno scambio di biglietti. Deliziosa è la delicatezza con cui ci viene presentata la società indiana contemporanea nelle grandi città. Mumbai. Non ci sono solo grandi famiglie. Lui è un vedovo, che passa le sue serate da solo, guardando dalla sua terrazza la famiglia di fronte, che cena seduta alla stessa tavola. “Penso che dimentichiamo le cose quando non abbiamo qualcuno a cui raccontarle”, scrive lui. Lei è sposata e ha una figlia. Ma il marito la tradisce, e l’unica persona con cui parla è sua zia, che vive al piano di sopra, assiste un marito invalido e da casa sua non si muove mai. Il risultato? Le spezie e le verdure vengono passate da un piano all’altro con un cestino come ho visto solo a Napoli, e i dialoghi si gridano dalla finestra. La zia non la vedremo mai. L’incomunicabilità, la dolcezza dell’adulterio, un adulterio fatto solo di parole, senza neanche conoscere il volto dell’altro, l’idea di conquistare un uomo con i propri manicaretti. Una lentezza del corteggiamento che mal si concilia con l’amore ai tempi di Tinder.
E allo stesso tempo ti chiedi: ma perché questi colletti bianchi, questi uomini (perché nell’ufficio sono quasi tutti uomini) non se la preparano da soli la schiscia? Perché non se la portano direttamente da casa, invece di affidarsi al sistema di consegna Dabbawala (da cui il titolo originale del film, Dabba)? Apprendiamo che persino da Harvard sono venuti a studiare il Dabbawala. Un sistema efficientissimo di smistamento delle schiscie, che però per una volta sbaglia.
Delizioso, forse fin quasi smelenso, è il messaggio che trasmette il film: da un mondo di singolarità, e di infelicità, per un accidente può scattare la possibilità per due persone di entrare in contatto, scriversi, conoscersi e magari pensare di partire insieme per il Bhutan, “il paese più felice al mondo”.
“A volte il treno sbagliato ti porta alla stazione giusta”. Non so se è così, l’importante è che il treno sia in movimento, e che i venditori di cibo passino a offrirti un paratha per poche rupie!
भोजन का लुत्फ उठाएं
Foto di Marcella Nicolini. Tra Jhansi e Gwailor, 2013
Devi fare login per commentare
Accedi