Cinema

“Loro”, Sorrentino riabilita il Cavaliere

19 Maggio 2018

Sono decenni che il paese vive nel mito rinnegato di Silvio Berlusconi, cresciuto con cura e pervicacia da egli stesso ma anche dai media, anche da quelli contrari. Questo ulteriore minimo scritto conferma quanto vorrebbe contraddire, ovvero l’ovvietà del verbo antiberlusconiano, quanto l’inutilità – se non addirittura l’utilità spettacolistica – dell’ennesima indagine su un cittadino  “al di qua” di ogni sospetto.

Di Silvio Berlusconi si sono occupati registi come Nanni Moretti ne Il Caimano, Sabrina Guzzanti in Draquila, e prima ancora – solo per ricordare qualcuno in ordine sparso – Rubén H. Oliva per il soggetto di Cremagnani e Deaglio in Quando c’era Silvio, docu-fiction uscita al seguito di Diario nel 2005. Questo per limitare le citazioni al solo cinema.

Retoricamente, ci si chiede se i due capitoli che il film di Paolo Sorrentino ha dedicato a Silvio Berlusconi avessero una valenza critica o di denuncia. No, non avrebbero potuto aggiungere niente all’amplissima raccolta di articoli, libri, indagini, vignette e mettiamoci pure frammenti televisivi isolati magistralmente dalle maglie dello scandaglio di Blob. Loro, nonostante il titolo lapidario non è una pellicola che attacca, ma una storia che riconcilia “loro” a tutti gli altri, e quelli a noi, e ancora, loro a loro stessi e loro altri.

Un ulteriore contributo quindi alla costruzione di un mito. Date la maestria e la profondità del regista, si può intendere il doppio film – classificato nei fogli di sala come biografico – un lavoro allegorico, che attraverso le parole del mito, gli accadimenti che gli ruotano attorno, i suoi colpi di teatro, finisce per trascendere gli eventi e raccontare della vita e delle sue miserie.

In Sorrentino il mito si fa uomo, per di più vecchio, nel volgere dal capitolo 1 al capitolo 2. Un vecchio incapace di lacrime, con gli occhi appesantiti dallo sforzo di sorridere. Quello che di grandioso riesce a fare soprattutto il capitolo 2 del film è farci provare una forma di tenerezza per Silvio Berlusconi; far sì che tra le pieghe del grottesco-trash del quotidiano del Cavaliere, si finisca per presagire l’uomo solo, che invecchia indurendosi come un legno assieme al proprio mito, abbandonato da una donna che pure con intelligenza e profondità critica è costretta a ripiegare su lagne sentimentali (“Mi avevi fatto innamorare” si giustifica rispondendo alla domanda incalzante: “Perché sei rimasta tutto questo tempo?”), lasciando ai più diffidenti il sospetto che anche lei, in fondo, si sia fatta “comprare”, abbia ceduto la giovinezza e la bellezza per poi riscattarne la svalutazione.

Quale migliore combinazione di quella che salda potere amore sesso politica sul volto deformato di un Berlusconi realisticamente padrone di tutto. Anche dell’immaginario collettivo. Del bene e del male, dei corpi e delle anime raccontati nel film. E nonostante questo, forse proprio per questo, incapace di riassorbirsi nel proprio intimo, anche oggi, a 82 anni, ancora osannato da donne, uomini, vecchi e giovani, e guardato con sdegnosa curiosità dagli stessi artisti, dagli storici, dai sociologi, dai politologi che da oltre vent’anni lo ritrovano dentro il sistema.

Si può immaginare la gioia del Cavaliere che gonfia il petto davanti a questo ulteriore omaggio del cinema (del grande cinema di un premio Oscar come Sorrentino), inconsapevole che questo film più che ancora della giustizia di pochi giorni fa, lo ha riabilitato; lo ha ricondotto all’uomo ricco ma solo, avviato a una senilità spietata, tanto temuta da rivelarsi probabilmente ancora più efferata. In tal senso il film è un’opera di grande altezza umanistica.

Davvero credeva di poter essere l’uomo più ricco d’Italia, pluri-presidente del consiglio e allo stesso tempo amato da tutti (cito a memoria parole rivoltegli nel film). Per questo, inverosimilmente, Berlusconi può muoverci a pietà. Per l’infanzia molesta e incorruttibile della sua megalomania, invecchiata e ormai prossima alla fine.

L’altro tema sottotraccia del film è la cosiddetta questione “sul genere”. Impossibile negare l’immagine del femminile che suppura quasi da ogni scena, ogni inquadratura, ogni primissimo piano (specie nella prima parte dell’opera) in forma di totale annullamento dell’individualità di quasi tutte le apparizioni femminili; una massa di giovani donne in allegra sottomissione a ruoli porno-coreografici dove l’avvenenza fisica e la sua sovraesposizione genitale paiono l’unico talento da giocarsi nella vita, o la miglior disperazione possibile. Donne certamente non rappresentative dell’intero genere ma in tutta evidenza figuranti caricaturali di un modello affermato in tanti ambienti, non solo in quelli di “Loro”.

A contrastare le decine di ninfette, ballerine e showgirl del futuro club Silvio ci manchi, le parole della Lario da una grandiosa Sofia Ricci, ma anche le poche – perfettamente calibrate – stoccate dell’incantevole  giovane Alice Pagani a  Silvio (prevedibilmente ben interpretato da Toni Servillo)  durante il tentato approccio nella villa. Da una bocca irreprensibile, inattesa, esce la parola “patetico” rivolta al senile tombeur, e la questione è chiusa.

Loro racconta dunque un Berlusconi privato. Lo riabilita a uomo fallibile, privato, nell’allegrezza paternalistica dei suoi giorni, di una gioia vera, per aver comprato tutti senza conoscere a fondo nessuno.

 

 

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