Cinema
L’italiano dei “Soliti ignoti”
Sentire in tivù Carmelo Barbagallo, Segretario della UIL, che parla come Ferribbotte (Tiberio Murgia) ne “I soliti ignoti” e Landini (sssiopero) come “Capannelle (Carlo Pisacane) nello stesso film, ti fa capire quale grande capolavoro fu quel film di Monicelli. L’Italia delle regioni, della commedia dell’arte, policroma, bassomimetica e variopinta riemergeva negli anni seguenti il fascismo, il regime che aveva imposto la lingua neutra del doppiaggio, tanto da far dire a Flaiano che “l’italiano non esiste, è una lingua parlata solo da doppiatori”.
Eppure io adoro quell’italiano “finto” e artificiale dei grandissimi doppiatori italiani. Quand’ero piccolo ed entravo in quelle immense sale cinematografiche, scostando i pesanti tendaggi e durate la proiezione della pellicola (allora era consentito), la prima cosa che avvertivo del film, ancor prima della luce, era il sonoro, quella lingua anabolizzata, sparata a pieno schermo, che rimbombava in ogni dove, dei sublimi doppiatori come Tina Lattanzi o Emilio Cigoli; e parlo delle “voci” del primo film in assoluto che ricordi, l’amatissimo “Ombre rosse”, visto nei primi anni ’60 non ancora decenne.
Ancora oggi penso che l’oratore siciliano che correggesse la greve pronuncia retroflessa del gruppo “tr” (Barbagallo: “i conTRIbbbbuti”) o quello padano le esse “liquide”, toglierebbe quell’aria agreste e provvisoria al proprio eloquio e suggerirebbe una snellezza ed eleganza di idee che solo la bella e “pura” lingua italiana può dare.
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