Cinema

L’Insulto, un film contro i pensieri unici che i fanatici non capiranno

15 Gennaio 2018

La guerra, anzi le guerre. Nella fattispecie le guerre civili cui assistiamo quotidianamente, inerti e sostanzialmente indifferenti nel profondo dei nostri cuori e delle nostre coscienze, coscienze individuali e collettive cioè politiche. Dalla Siria alle decine di tragedie che insanguinano il mondo a colpi di stragi orrende. A voler essere onesti, anche il terrorismo jihadista (quando non riguarda noi) è frutto e causa insieme di quella “guerra civile” tra sciiti e sunniti che, giorno dopo giorno, cancella migliaia di vite umane. Qualcuno dice che è la natura umana, può essere. Qualcuno scava negli interstizi più remoti degli individui e scopre che, sì, la natura umana è in buona parte questa, però un lumicino di speranza – o se preferite di “civiltà” – brilla in ciascuno di noi. Riflessioni forse scontate suscitate da un film che insegna parecchie cose: ai più giovani una storia recentissima che quasi certamente ignorano, ai meno giovani la caducità di una visione manichea degli eventi.

L’insulto, del regista Ziad Doueiri, arrestato e poi rilasciato in Libano subito dopo aver ricevuto la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile con Kamel El Basha all’ultimo Festival di Venezia, racconta, in super sintesi, una vicenda piccola piccola, verrebbe da dire di quartiere. Il tubo di scolo fuori norma di un terrazzo fa da miccia a una faida tra due uomini che passa dalle male parole a una richiesta di scuse, prosegue con pesanti insulti e un pugno da ospedale, finisce in Tribunale e quindi addirittura in Corte d’Appello con tanto di avvocatoni (una vecchia volpe di destra e la giovane figlia di sinistra). E qui interviene la stampa. Ecco riaccendersi la contrapposizione – meglio sarebbe dire l’odio mai sopito – tra cristiano-libanesi, destra xenofoba con slogan e pensieri non dissimili da talune posizioni che adesso vanno per la maggiore anche qui da noi, e profughi palestinesi (in Libano ce ne sono alcuni milioni) forti della solidarietà militante che li accompagna. Auto bruciate, veleni, scontri con le forze dell’ordine.

Ziad Doueiri rievoca orrori dimenticati – eppure non sono trascorsi neppure cinquant’anni. Dimenticati, ben inteso, soltanto dall’Occidente. La spaventosa strage di Tel al-Zaatar, dove nell’agosto del 1976 dopo un lungo assedio i falangisti cristiano-maroniti, spalleggiati e foraggiati dalla Siria alawita (specialista, allora come oggi, di massacri disumani), vennero uccisi quasi tremila palestinesi dell’omonimo campo profughi. E la memoria, speculare ma non meno mostruosa, della rappresaglia palestinese nella cittadina cristiana di Damour: quasi seicento persone, un paesino raso al suolo. Chi ha sofferto troppo non dimentica, non può. Il mondo è pieno di passati che non vogliono o non riescono a passare. Questa è la storia di Toni, meccanico cristiano che rimpiange i bei tempi di Bashir Gemayel e si abbevera degli slogan guerrafondai e razzisti della radio falangista e di Yasser, profugo palestinese, laureato in Ingegneria in qualche paese arabo e ora capomastro che vive in un tutt’uno tra pignoleria sul lavoro e testardaggine nella vita.

Certo, qua e là – da ambedue le fazioni – la Stella di Davide simbolo di Israele viene usata come massimo spregio, aleggia anche una sorta di non detta presenza del fantasma di Ariel Sharon. Che io ricordi, però, la parola ebreo o ebrei non viene mai pronunciata, e lo Stato che ha per capitale Gerusalemme è – come dire? – contestualizzato in quella che noi razionali chiamiamo Storia.
Alla fine L’insulto lascia intendere, in quel faticoso, faticosissimo eppur sincero sorriso tra Toni e Yasser, che non tutto è perduto, che l’odio può non essere eterno, che una riappacificazione può esistere, magari tra molti anni, forse generazioni. Compreso – almeno io questo ci ho visto, o ho voluto vederci – perfino il conflitto israelo-palestinese.

Sono certo che propal invasati così come antipal altrettanto obnubilati, giudicheranno Ziad Doueiri, se va bene un “buonista”, una illusa anima bella, atrimenti un traditore. E infatti c’è già chi ha bollato L’insulto come film antisemita. Leggo su un sito decisamente acritico e militantemente di parte (Informazione corretta, tanto per fare nomi): «Solo una domanda: tutte le belle parole del finale, l’invito a capirsi, a condividere la sofferenza altrui, al dialogo, alla comprensione, alla capacità di chiedere scusa e di perdonare, tutto questo… per gli ebrei non vale? Questo film arabo-pacifista rievoca i bei tempi andati, il Libano di una volta, la “Svizzera del Medio Oriente” pluralista e neutrale. Ma non dicendo tutta la verità, in realtà mente. Piacerà molto in Europa».
Già, l’irrazionale, il fanatismo, è duro a morire. E sia chiaro: vale per entrambe le tifoserie del pensiero unico, anche se i pensieri (unici) sono uno l’opposto dell’altro.
Ma L’insulto di Ziad Doueiri è e rimane un gran bel film.

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