Cinema
Leone voleva l’asino
1963: Sergio Leone ha diretto un paio d’anni prima Il colosso di Rodi, ed è alla ricerca di un’idea nuova per realizzare il suo secondo film.
Da sempre è un ammiratore di John Ford e gli piacerebbe girare un western.
Uno dei suoi collaboratori gli suggerisce di andare a guardare La sfida del samurai del regista giapponese Akira Kurosawa.
Il protagonista del film è un samurai che arriva in un villaggio in cui è in atto una guerra senza quartiere tra due bande. All’inizio cerca di mantenersi neutrale nei confronti di entrambe le parti, poi è costretto ad uscire allo scoperto e a prendere posizione. Nella scena finale quando un inviato dei due contendenti lo affronta con una pistola il samurai lo affronta e lo batte servendosi della sua spada.
Leone decide immediatamente di ispirarsi a quella trama per costruire il suo film.
Cambia solo l’epoca in cui si svolgono i fatti e l’ambientazione: si passa dal 1600 al 1800 e la vicenda non si svolge Giappone , ma in America, anche se gli esterni in realtà saranno girati a 35 km da Madrid.
Nasce così, il progetto di Per un pugno di dollari.
L’intenzione è quella di realizzare un film a basso costo.
L’idea di partenza (anche se clamorosamente rubata) sembra buona a tutti, ma i produttori disposti ad investire dei soldi sul progetto non hanno intenzione di rischiare più di tanto.
Per il protagonista principale, per esempio, la somma messa a budeget è piuttosto modesta, il che esclude alcune candidature che pure sarebbero piaciute molto a Leone, come quella di Henry Fonda e di James Coburn.
Si finisce così per ingaggiare Clint Eastwood, attore americano fino ad allora impiegato solo in qualche serie tv.
L’impronta che Leone vuol dare al film è lontana da quella che caratterizzava il western tradizionale.
Basti citare una situazione: nella sceneggiatura originale, Joe, lo straniero protagonista del film si presentava in scena, all’apertura del film, in sella ad un asino.
Già dalla prima scena, già da quel particolare, lo spettatore avrebbe dovuto capire, nelle intenzioni di Leone, che quello che gli si stava proponendo era l’antitesi del western tradizionale.
La produzione, però, non era d’accordo.
Considerava quello strappo troppo dirompente.
Infatti nel film l’asino non c’è.
“Ok, niente asino”, dice a quel punto Leone, “ Ma non voglio nemmeno il cavallo. Troviamoci a metà strada, passatemi almeno il mulo”.
E mulo fu.
Un mulo “permaloso”, tra l’altro.
Nella prima scena del film alcuni uomini ridono di quella bestia smunta e malconcia, dal passo moscio e malinconico.
Per spronarlo a reagire uno di loro gli spara tra le zampe.
Joe, lo straniero, non la prende bene.
Individuati gli uomini che hanno “bullizzato” la sua cavalcatura, mentre stanno appollaiati su una staccionata, li raggiunge (non senza avere prima avvertito il falegname del paese: ”Prepara tre bare”).
“Il mio mulo se l’è presa per quei quattro colpi che gli avete sparato tra le gambe” esordisce Joe.
“Ci stai prendendo in giro?” replica uno degli uomini con un faccia tra il sorpreso e il sospettoso.
“No, io ho capito subito che volevate scherzare, ma lui si è offeso e ora pretende le vostre scuse”
Gli uomini ridono.
Joe li guarda glaciale, poi, spostando il sigaro dall’altra parte della bocca, dice :
“Fate molto male a ridere. Al mio mulo non piace che si rida di lui. Ma se mi promettete di chiedergli scusa, con un paio di calci in bocca ve la caverete”
A quel punto gli uomini non ridono più.
Uno di loro accenna ad una reazione, mettendo mano alla pistola, ma Joe è il più veloce di tutti.
Spara quattro colpi di pistola e stende quattro uomini in pochi secondi.
Passando accanto al falegname, gli fa un cenno con la mano e rettifica l’informazione precedente: “Volevo dire: quattro casse”.
Dopo la distribuzione del film, Sergio Leone viene contattato da Akira Kurosawa, che rivendica i diritti del film.
Inizia una lunga trattativa.
Gli avvocati della casa di produzione del film hanno una pensata che li aiuterà a risolvere almeno in parte la questione: incaricano Tonino Valerii, che aveva fatto da assistente alla regia nel film, di trovare un’opera letteraria antecedente al film di Kurosawa.
L’opera individuata è una commedia di Carlo Goldoni: lo spericolato doppiogiochista del film non si ispira al samurai del film giapponese, ma addirittura al personaggio di Arlecchino servitore di due padroni.
Senza provare la minima vergogna per l’irriverenza di tale accostamento, gli avvocati della produzione riescono, grazie a questo escamotage, a riprendere la trattativa con Kurosawa, trovandolo questa volta più incline ad un patteggiamento: al regista giapponese e al coautore della sceneggiatura de “L’ultimo samurai” andranno solo i diritti derivanti dalla distribuzione nei paesi asiatici del film italiano.
“Per un pugno di dollari” ha un clamoroso successo in tutto il mondo e lancia il filone dei cosidetti spaghetti western (molto divertente il fotomontaggio che una rivista crea con l’immagine del regista: spaghetti che prendono il posto dei peli della sua barba)
Il commento di Leone sul suo “ispiratore” sarà il seguente : “Kurosawa aveva tutte le ragioni per fare ciò che ha fatto. È un uomo d’affari e ha fatto più soldi con questa operazione che con tutti i suoi film messi insieme. Lo ammiro molto come regista.”
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