Cinema
Le più piccole del ’68: una storia di donne, lavoro, politica e coraggio
“Non posso dimenticarlo perché era il giorno del mio compleanno, il 18 giugno 1968, quando il ‘padrone’ venne a dirci di andare in ferie. Ma in ferie che cosa vuol dire? Senza nemmeno i soldi per comprarsi un gelato?”. Ha lo sguardo fiero Anna, una delle “Più piccole del ’68”. Compiva 22 anni quel giorno in cui qualcuno stava per negarle un diritto fondamentale, con la pretesa che quelle come lei, le ragazze con le mani di fata della sartoria di Manziana, ingoiassero l’offesa senza replicare. Ma non fu così. Quelle piccole ragazze della provincia romana, che mentre lavoravano non potevano mai distogliere gli occhi dalla macchina da cucire per non farla saltare, alzarono la testa. E occuparono per ben trentasette giorni.
È una storia di donne, lavoro, politica e coraggio, quella raccontata da Elena Costa in “Le più piccole del ’68”, documentario in concorso al Biografilm festival di Bologna e già e-book vincitore del premio “Io scrittore” nel 2013.
Donne, anzi bambine, le più giovani operaie ad aver portato avanti così a lungo uno sciopero, in quegli anni di protesta, che in Italia, in fondo, non furono rivoluzionari come altrove. Per loro, per Anna, Augusta, Santa, Luciana, vincenza, Carla, Rosa, Maria Teresa,Patrizia,Franca, Lida, Iris Loredana, Maria, Milvia, Pierina e Giuseppina, quei trentasette giorni invece rivoluzionari lo furono per davvero: “Eravamo le prime ragazze a fare sciopero”. E non furono incoscienti nell’organizzare quella protesta, loro giovani sì, ma toste, non lasciarono un metro al ‘nemico’ e ottennero i loro diritti.
Lavoro perché la fabbrica tessile di Manziana, nei boschi vicino Roma, fu per trentasette giorni il simbolo della lotta e della resistenza. Alcune di loro contro il volere dei loro mariti o delle loro famiglie continuarono ad occupare, altre in quella fabbrica trovarono l’amore e diventarono donne: “Tu pensi che la donna possa e debba rivendicare i propri diritti e possa avere una propria idea e la possa esprimere davanti a tutti?”, chiede Giuliana al suo Marcello, “E’ naturale!” rafforza lui, “E allora se sposamo! E mo baciamo ce avemo pure parlato abbastanza”. La fabbrica chiuse comunque, dopo qualche mese, ma le ragazze non si dispersero, diventando donne con qualcosa in più: determinazione e personalità.
Politica perché qualcuna divenne sindacalista e continuò a difendere le operaie negli anni caldi che seguirono, in un’Italia che ancora aspettava di fare il balzo nel mondo moderno. Non si può negare che il racconto di Elena Costa sia prima di tutto un racconto in cui l’amore e la politica diventano la stessa cosa negli occhi e nei dialoghi semplici e dialettali delle persone. Non personaggi, perché le storie di Manziana sono tutte vere, trattate in un modo neorealistico. Del Metello di Pratolini c’è la storia dello sciopero, ma la sua coralità rende questo un piccolo grande racconto di resistenza.
Coraggio perché “Le più piccole del ’68” è anche il romanzo di formazione di chi prende in mano la propria vita. In fretta, contro gli uomini dominanti (“Un uomo gentile, e quanno mai so’ gentili li omini?”) e in un anticipo dettato dai tempi. E anche perché in fondo il ’68 è un periodo di storia contemporanea con cui non abbiamo fatto ancora pace, né a destra né a sinistra. Raccontare le piccole vite di queste ragazze, come ha fatto quest’autrice emergente, forse, è l’unica cosa preziosa da fare: “Mi sono imbattuta per caso in un vecchio cinegiornale – ha raccontato l’autrice – e mi sono innamorata di questa storia. Poi sono andata a Manziana a incontrare le ragazze: avevano ancora l’orgoglio di quando era giovani e l’innamoramento è diventato amore”.
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