Cinema
“Le assaggiatrici”, in bilico tra la vita e la morte
30 Marzo 2025
Ho visto “Le assaggiatrici”. Ne ripercorrevo le pagine durante la visone, avendo bene in mente la lettura dell’opera di Rosella Postorino. Molto bravo, Soldini, a rendere percepibile la suggestione del romanzo attraverso una temperata fotografia, che ha reso agevole il passaggio dalla letteratura al linguaggio filmico, generando il giusto impatto emotivo. Sequenze di immagini sintomatiche dove il fotogramma, effettivamente, ha tradotto la pagina nella narrazione cinematografica più corrispondente, proiettandone, al contempo, una visione che scavalca il contenuto della stessa, seguendo da vicino i passi della protagonista, Rosa Sauer, fino a sentirne il respiro, a percepirne l’ansia, a scorgerne l’impressionabilità, lungo il corso di un’esistenza che appare fugace, mai compiuta, sempre frammentaria.
Le storie legate al nazismo risentono, per forza maggiore, del senso tragico dovuto alla verità storica, ma in quella raccontata dalla Postorino e riprodotta in arte filmica da Soldini si aggiunge un motivo malinconico penetrante, per certi versi anche ermetico, che si muove nella tragedia come se seguisse i segnali di un radar di salvezza, in vista di una conservazione che passa attraverso la sopportazione del dolore. Una sorta di pulsione misteriosa e sfuggente, che non può essere solo desiderio, sete d’amore e attaccamento alla vita, consente a Rosa di essere presente a sé stessa, sia pure nelle vesti di assaggiatrice del führer.
Ispirato alla storia vera di Margot Wölk, assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf, il racconto è costruito sulle vicissitudini straordinarie di una donna, sì, indifesa ed esposta, ma non irreparabilmente vulnerabile di fronte alle brutture della storia, alle sue angherie e al cinismo insormontabile che ne costituisce l’emblema. Rosa, come si è accennato, assurge a una mansione che mette quotidianamente a repentaglio la propria vita: mangia, insieme ad altre sei donne, le pietanze che dovranno essere servite a Hitler, per verificare che non siano state avvelenate. Deve solo mangiare, Rosa, sperando a ogni pasto di non ingoiare l’ultimo boccone che potrebbe risultarle fatidico, oltre che amaro. Questo è il suo compito, che un giorno le SS le affidarono.
E, come in una roulette russa, la sua vita dipende da un bizzarro gioco dove non è dato sapere se la probabilità di morire sia remota, o prossima a verificarsi. In bilico, tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra il senso di colpa e uno di disagio, Rosa sembra essersi educata alla sopravvivenza, senza più sperare nell’esistenza, sapendo benissimo che niente può essere come prima.
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