Cinema

Quel brutto vizio di tagliare le ali alle streghe

29 Ottobre 2014

Gli uomini sono angeli con un’ala soltanto,

per volare devono stare abbracciati.

Don Tonino Bello

 

Non so se si tratti di una citazione consapevole, ma nel recente film di Robert Stromberg, Maleficent, con Angelina Jolie nel ruolo della protagonista, si cita ampiamente Platone e la sua concezione dell’amore.

Il film non è eccezionale, ma fa un’operazione interessante: cerca di spiegare cosa c’era dietro alla cattiveria della strega Malefica che compie il terribile incantesimo sulla neonata principessa che diventerà la Bella Addormentata nel bosco.

La storia che conoscevamo, e che da bambini forse abbiamo sentito tante volte, partiva infatti proprio da quell’incantesimo: nel giorno del battesimo della principessa Aurora tutti i sudditi offrono un omaggio, anche le tre fatine, ma lei, Malefica, non era stata neppure invitata alla festa.

Mentre sotto le coperte cercavamo di prendere sonno, sentivamo che improvvisamente una strega piombava alla festa per compiere un incantesimo sulla principessa: nel suo diciottesimo anno di età, Aurora si sarebbe ferita con l’ago di un fuso e sarebbe precipitata in un sonno profondo dal quale si sarebbe svegliata solo a condizione di ricevere il bacio del vero amore!

Il film prova a chiedersi cosa possa aver spinto Malefica ad un incantesimo così terribile su un’innocente. E così siamo portati indietro, quando Malefica era una strega simpatica che cercava di difendere la sua brughiera dall’assalto degli uomini. Uno di questi uomini sembra diverso e Malefica se ne innamora. Ma proprio quell’uomo, pur di conquistare la corona del Re morente, accetta di ingannare Malefica: per impedirle di combattere e difendere la sua terra, quell’uomo le taglia le grandi ali. Quell’uomo è il papà di Aurora.

Ma la storia procede in modo inaspettato, proprio come l’amore: Malefica non riesce a non prendersi cura di Aurora e a vegliare su di lei. Aurora fa l’esperienza di essere amata profondamente da Malefica. E così, quando l’incantesimo si realizza, non sarà il bacio del Principe azzurro a svegliare Aurora, ma il bacio di Malefica, che per tentare di salvare Aurora accetta di entrare nella reggia mettendo a repentaglio la propria vita e rischiando di essere uccisa.

Mentre incombe la battaglia, quando ormai Malefica è stata catturata e sta per essere uccisa, Aurora ritrova le ali che suo padre aveva tagliato alla strega, gelosamente conservate in una teca. Aurora rompe la teca e restituisce le ali a Malefica che riesce definitivamente a trionfare sul male.

L’immagine delle ali è, mi sembra, una chiara citazione del Fedro di Platone: l’amore come armonia nella relazione, l’amore come reciprocità in cui non c’è padrone e schiavo, quell’amore, dice Platone, mette le ali, cioè ci fa sperimentare qualcosa di divino. Quell’armonia che contempliamo nell’amore vero, cioè un amore senza dominio sull’altro, ci permette di contemplare il divino. Quell’amore, dice Platone, è la salvezza che ci si dona reciprocamente nella relazione.

Nel corso della vita attraversiamo esperienze diverse dell’amore: per il bambino l’amore è ciò di cui ho bisogno, l’amore è il piacere di essere toccato, nutrito, riscaldato; crescendo, l’amore si trasforma in un bisogno di appartenenza, diventa ricerca di un legame; poi finalmente, nell’adulto, l’amore diventa desiderio di prendersi cura di qualcuno. Non dobbiamo credere però che, diventati adulti, le forme precedenti di amore, vengano meno: al contrario, continuiamo a portare dentro di noi il bisogno di essere amati, come da bambini, e continuiamo a conservare quel bisogno adolescenziale di essere importanti per qualcuno. È anche vero che ci sono persone che non riescono a diventare adulti e restano imbrigliati nei desideri del bambino e dell’adolescente. Tuttavia, anche l’adulto che arriva a prendersi cura degli altri non può negare l’emergere passeggero, ma del tutto normale e sano, del bisogno di tenerezza e del desiderio di essere importante per qualcuno. Negare questi bisogni originari non può che determinare frustrazione che spesso si esprime nella rabbia e nell’insoddisfazione.

Nell’amore autentico, dice Gesù (Mt 22,34-40), siamo coinvolti nella totalità della nostra persona: siamo sempre cuore, anima e mente. Amiamo veramente quando i nostri sentimenti più profondi (il cuore) sono in armonia con le nostre emozioni più immediate (l’anima, la psyché che risponde agli stimoli esterni) e con i nostri pensieri (la mente, come luogo dell’interpretazione del reale).

Il criterio per valutare l’amore vero è la corrispondenza di questi livelli: è l’integrità della persona amante.

Quando il cuore, l’anima e la mente sono in armonia facciamo l’esperienza di Dio, che è la fonte dell’amore. E il secondo comandamento è simile al primo perché è con lo stesso amore che amiamo Dio e gli altri, non sono amori diversi: sono lo stesso cuore, la stessa anima e la stessa mente.

Amare l’altro come se stesso vuol dire fare l’esperienza dell’empatia, sentire come l’altro sente nella sua situazione, ma non vuol dire confondersi con l’altro: Dio non ci chiede di annullarci, ma di sentire. A volte annullarsi per amore è, paradossalmente, la soluzione più semplice, perché ci esime dal prenderci le nostre responsabilità e passare all’azione. L’amore vero si chiede invece “cosa posso fare io per te?”: io, nella mia realtà, a partire dal punto in cui mi trovo.

L’amore è sempre una grazia, perché ci costringe ad uscire da noi stessi e, a volte, ci permette di spiccare il volo.

 

 

Leggersi dentro

  • Ci sono relazioni in cui mi sento pienamente integrato e coinvolto con il cuore, l’anima e la mente?
  • Nelle relazioni affettive tendo a dominare, a ritirarmi o a cercare uno scambio autentico?

 

 

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