Cinema

La sala professori. Film dall’intreccio di risoluzione che conquista e interroga

18 Marzo 2024

“La sala professori” di Ilker Çatak (2024)

Una  riflessione condotta sulle tragedie greche (che mi venne spontanea alla lettura di Antigone di Sofocle) mi indusse a ritenere che il dramma deflagra non quando uno o l’altro dei protagonisti in contrasto hanno torto e gli altri ragione, ma quando tutti hanno ragione, le proprie particolari ragioni beninteso. Non è una grande spiegazione lo so, ma è la mia, è m’è ritornata in mente vedendo questo intenso e ben recitato film tedesco La sala professori.

L’innesco del dramma avviene qui in una scuola media multietnica tedesca, allorché una serie banale di piccoli furti induce la neo-insegnante di origine polacca Carla Nowack, neofita e bardata delle migliori intenzioni pedagogiche, a non soprassedere e ad andare fino in fondo.
Ma la Nowak (interpretata dalla bravissima Leonie Benesch) allo scatenarsi del dramma che a causa di un suo incauto atto di indagine deflagra generando una gragnuola di azioni e reazioni catastrofiche, è quella che per tutto lo svolgimento della pellicola, più di ogni altro, esibisce tratti di equanimità e correttezza, e sembra pagarne le più drammatiche ricadute insieme a un altro protagonista di cui dirò.

Hanno tutti ragione, le loro ragioni dicevamo, ma non tutti ne subiscono particolari effetti. Non l’indiziata principale, un’addetta di segreteria che resiste a indizi fortemente incolpanti; non il corpo docente con la sua modesta anomia e la sua capacità di trasformarsi in plotone di esecuzione morale; non la Preside che ha fissato la rigida norma kantiana della “tolleranza zero” a legge assoluta e inderogabile; non i piccoli e gelidi scolari, inflessibili redattori del giornalino scolastico (latori dell’istanza della pubblica opinione ma anche protagonisti di uno spietato e inavvertito giornalismo d’inchiesta) ma lei la Nowak e il piccolo Oskar, il più bravo della classe e figlio dell’inquisita numero uno.

La pellicola esibisce tutte le tensioni narrative, tipiche di un intreccio di risoluzione pur all’interno di istanze di rivelazione (disvelamento cioè di psicologie e di comportamenti di quegli universi concentrazionari che sono le comunità chiuse: le caserme, gli uffici, i collegi, i seminari, le classi scolastiche appunto) in grado di determinare una crescita di ansia e di suspense in capo allo spettatore, e ciò tanto più quanto è risibile l’evento deflagratore.

Il plot si gonfia e si “shakespearizza” oltre ogni ragionevole misura e attesa, costituendo pertanto una esemplare ma esplosiva tempesta in un bicchier d’acqua, ma tempesta vera nelle coscienze dei due più colpiti dagli eventi: Nowak e Oskar (intenso e struggente il piccolo interprete Leonard Stettnisch). L’intrigo non nasce in seno alla minuscola società multietnica della classe che sembra, salvo la prima incolpazione di un alunno turco, procedere con smussata e acquisita armonia. Ma neanche da quello che inizialmente ho sospettato, trovandoci in ambito tedesco, come un “Gedankenexperiment” un esperimento mentale tipico di un’etica rigidissima (non certo quella ampiamente derogatoria italo-cattolica o più seriamente il casuismo gesuitico ) circa il conflitto che insorge tra la norma della “tolleranza zero” che potrebbe richiamare l’assoluto formalismo normativo kantiano di uniformare sempre e comunque il proprio comportamento a una massima universale che, come è noto tra gli specialisti, venne attaccato da Benjamin Constant che di fronte a casi ultimi e tragici ammetteva la deroga dal principio morale (per esempio di non dire la verità, ossia di mentire) se ci sono dei malvagi, pensate ai nazisti, che ti chiedono di rivelare il nascondiglio di un incolpato ricercato.

Il film invece ha un finale aperto, cioè nessuna chiusura del cerchio: espone problemi sulla difficile postura da prendere nel mondo circa i valori e la correttezza dei comportamenti, ma quel finale aperto è più che una mancata indicazione drammaturgica, è una specie di rifiuto a voler concludere, a voler sciogliere quello che è sicuramente un enigma morale, non certo un apologo sulle meccaniche di riproduzione del potere cui opporre una sorta di libertà eversiva, rovesciante i rapporti di forza costituiti, come ho letto altrove (ahimè c’è chi vede sempre “lo stesso film”). Anzi scientemente non vuole darne e tanto meno fornire le modalità narrative dello scioglimento del plot di risoluzione, limitandosi ad eliminare dal finale ogni prova. Insomma si pone un teorema e poi con gli elementi dati si suggerisce: fate vobis.
Perplesso anche se positivo nell’esortare a vederlo.

*^*^*

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