Cinema

La realtà del jazz nello sguardo di Gianni Amico

20 Gennaio 2015

Non so bene perché, ma mentre guardavo Appunti per un film sul jazz di Gianni Amico, mi è venuto in mente – per contrasto –  il modo un po’ stereotipato delle riprese di backstage che si vedono in molti documentari musicali recenti e l’abisso tra i due approcci mi è sembrato, con un pizzico d’angoscia, incolmabile.

 

Pur non essendo infatti un particolare laudator dei tempi andati, l’emozione suscitata dalle immagini girate da Amico al Festival del Jazz di Bologna del 1965 è ancora oggi piuttosto forte. Non solo perché vedere suonare, parlare e vivere Don Cherry, Gato Barbieri, Johnny Griffin, Mal Waldron, Steve Lacy e molti altri è, per chi si occupa di jazz, una piccola grande gioia, ma anche perché questi lacerti di “vita da festival” che Amico ha catturato per il suo documentario sono di una forza difficile da raccontare.

 

Per farlo rendo in prestito le parole di Stefano Zenni, che – intervistato nel bel documentario di Germano Maccioni L’uomo Amico, contenuto extra del DVD da poco uscito per la Cineteca di Bologna che raccoglie il citato Appunti, Noi insistiamo! Suite per la libertà subito (1964) e Il cinema della realtà (1969) – nota giustamente come la macchina da presa di Amico (una Éclair a spalla) scelga di essere totalmente dentro i musicisti che suonano, quasi uno di loro, inquadrando in primissimo piano volti, dettagli degli strumenti, gambe che calpestano le tavole del palcoscenico, catturando risate, frammenti di commento, respiri, considerazioni.

 

Il contrasto tra soluzioni formali  mutuate dal cinema sperimentale americano di quegli anni e la presunta prosaicità di un arrivo alla stazione di Bologna o di qualche momento strappato a una passeggiata tra le vie della città emiliana è estremamente significativo. Ci sono nel film momenti di grande forza iconografica, come quelli ripresi al luna park, con Johnny Griffin sulla ruota panoramica o i go-kart che sfilano sullo sfondo dell’intervista a Ted Curson. Ma è tutto il film a rimanere, con la profondità del documento storico che è anche atto espressivo autonomo, coraggioso, davvero lontanissimo dal pavido provincialismo che spesso ancora oggi caratterizza la produzione culturale del nostro paese.

 

È stato un artista e un uomo di grande valore, Gianni Amico. Di lui prima d’ora avevo visto solo Bahia de Todos os Sambas (imperdibile per tutti gli amanti della musica brasiliana, di cui è stato instancabile ambasciatore in Italia), ma anche Il cinema della libertà (notevole sguardo sul neorealismo con le testimonianze di Rossellini, De Sica, Zavattini, Pasolini e molti altri) e Noi insistiamo! Suite per la libertà subito (straziante montaggio di foto di fotografie sulle violenze razziali in America e non solo, sulle note dell’omonima suite di Max Roach) sono momenti essenziali della filmografia anomala e unica di questo artista, che è stato sceneggiatore di Bertolucci e Galuber  Rocha e aiuto di Godard, amico dei Tropicalisti e testimone del jazz.

 

Da riscoprire assolutamente.

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