Cinema
La parabola di “American Fiction”, tra stilemi e forzature
American Fiction di Cord Jefferson, 2023. Su Prime.
Thelonyus Ellison detto “Monk” è un professore nero in una università della California oltre che uno scrittore di narrativa di incerto successo. Durante una lezione sui neri dell’Alabama scrive sulla lavagna il termine “nigger” che desta la dura protesta di una studentessa bianca la quale si rifiuta perfino di leggere la n-parola ed esce fuori dall’aula inorridita benché “Monk” le faccia notare che se l’ha superato lui, nero, il divieto “politicamente corretto” del termine offensivo, potrà ben farlo anche lei, tanto più che egli è ricorso al termine proibito nel suo contesto storico, anche linguistico. Troppo semplice. Nei fatti il consiglio accademico dell’università ingiunge a “Monk” di prendersi un periodo di riposo forzato e lo allontana.
Tornato in famiglia a Boston nella Costa orientale, “Monk” rientra in un contesto di media borghesia nera di professionisti nel campo clinico-medico, dal padre già ginecologo, defunto e continuamente rievocato in famiglia per le sue scappatelle (anche con una bianca, si sottolinea non a caso), al fratello chirurgo-plastico già padre di famiglia che però nel frattempo fa coming out della propria omosessualità, alla sorella anch’essa dell’ambiente che però ha un attacco al cuore e muore subito dopo, nonché la mamma affetta da un principio di Alzheimer.
Qui si sviluppa tutto il “romanzo familiare” che francamente non esibisce particolari attrattive anche se ben scritto, ma che dovrebbe servire da enorme “fegatello”, ossia quel termine col quale gli sceneggiatori della commedia all’italiana chiamavano un “riempitivo” delle loro storie, solo che qui il mega-fegatello satura tutta la trama, e nelle intenzioni del regista sceneggiatore Cord Jefferson probabilmente intende funzionare da controcanto al tema morale, ossia alla questione linguistica “woke” che tanto assedia la cultura e la sensibilità americane di oggi, come a dire: vedete i “nigger” sono ceto medio riflessivo ormai, spargono le ceneri dei propri cari nel mare, fanno scelte sessuali non da “mandingo”, stanno bene economicamente, hanno pure le nevrosi dei ricchi bianchi, oltre la villa al mare e la cameriera nera grassa-fedele-tipica di “Via col vento” che dà del lei a lor signori. I neri pertanto possono accedere al linguaggio franco e farsene anche un baffo, se esso è contestualizzato e sterilizzato dalle intenzioni malevole e dalla voglia di offendere. Insomma tutta una serie di “tracce” che intendono suggerire che dopotutto la guerra interraziale è finita. Piedàrm. E tutto ciò nel clima Black Lives Matter potrebbe funzionare forse da una specie di contrordine compagni?
Non è proprio così. Al romanzo familiare si innesta la vicenda del romanziere “Monk” che certamente non digerisce l’andazzo che vige nel mondo editoriale. Ed è perciò questo tema secondario forse più interessante del primo. Uno sguardo dietro le quinte del mondo editoriale e della costruzione in laboratorio delle montagne di letteratura Midcult e Masscult. “Monk” scrive perciò, d’intesa col suo agente letterario, e sotto altro nome, Stegg R. Lee, un libro tutto d’intonazione afro-americana proprio come se lo aspettano i bianchi <<con padri assenti, rapper, crack e l’omicidio di un poliziotto>> chiosa acido “Monk”. Un romanzo di fiction giustamente intitolato “Fuck” (fotti) in cui abbondano situazioni tipiche a tinte forti di un nero marginale evaso avanzo di galera ecc., che ovviamente registra un clamoroso successo (qualcuno sussurra trecentomila copie), un romanzo per il quale “Monk” viene chiamato in veste di giurato nel solito premio letterario prestigioso a votare per il “proprio” testo. Tra i cinque giurati egli insieme all’altra scrittrice nera (seppur più corriva e prona alle regole del successo comandato) bocciano il romanzo apprezzatissimo invece dai tre giurati bianchi che lo premiano (<< Personalmente lo adoro. È stato come guardare dentro una ferita aperta>> sibila estasiata una giurata bianca).
Questo, certo non a grandi linee (ho dovuto entrare necessariamente nei dettagli) il sunto della pellicola. Fino allo showdown
finale che ovviamente non riferisco.
Il film non va oltre la forma obbligata dell’apologo, ossia una storia in cui la morale da dimostrare prende rigidamente il rilievo imposto o preimpostato a dispetto della fluidità degli elementi narrativi chiamati a supportarla.
Alla fine il film vero è tutto dentro la vita ordinata di una famiglia media di afroamericani, il lutto della sorella morta, la mamma malata di Alzheimer, il fratello omosessuale, l’impasse sentimentale di Monk con la compagna Coraline senza particolari lampi di attrattiva estetica. C’è molto lavoro di sceneggiatura, e benché il buon proposito di restituire libertà tematica e autenticità elocutiva a un segmento di popolazione americana, quella afroamericana, si perde dietro qualche arzigogolio di troppo e non poche alzate di ingegno che sanno di forzatura e artificio. Alludo al romanzo “Fuck” finto e dozzinale investito però da un successo clamoroso che si può giustificare da parte nostra solo con chilometri di sospensione dell’incredulità e con una toppa esplicativa furba dentro il dialogato del film che recita: <<la prima regola delle vendite: mai sottovalutare la stupidità dei lettori>>. Inoltre la sceneggiatura a doppi o tripli finali del film che già si sta traendo dal romanzo bestseller simulati nella nostra scena filmica con modalità di “opera aperta” che, ripetuta nelle sue varianti, sembra una piroetta splatter parodica e già vista nei film di Tarantino. A comprova della constatazione critica di Edward M. Forster in “Aspetti del romanzo”, che vale anche per i film, per il quale “I finali sono sempre deboli”.
Certamente bravissimo l’interprete principale Jeffrey Wright.
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Vedi anche:
* La sala professori. Film dall’intreccio di risoluzione che conquista e interroga. urly.it/3-t2w
* Un altro ferragosto. Un pugno nello stomaco il film di Paolo Virzì urly.it/3-sac
*The Holdovers – Un film potente sulla giovinezza come vigilia della vita urly.it/3-t77
* “American fiction” tra stilemi e forzature http://urly.it/3-wdw
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