Cinema
La nuova serie di Gomorra e quell’inspiegabile episodio numero 6 – spoiler alert
Credo che le critiche da più parti piovute sugli autori della serie Gomorra – accusati di “umanizzare” i delinquenti e di renderli dunque romantici e simpatici ai più – siano, pur nella loro assurdità, tutto sommato fondate. L’assurdità e ingenuità di quelle critiche, per essere chiari, sta nel fatto di sottintendere che in quanto criminali essi abbiano cessato di essere uomini, e che ci pensi quindi Gomorra a restituire loro una dimensione che invece, sia chiaro, non possono aver perduto nemmeno in quanto mafiosi.
Cerco di spiegarmi un po’ meglio. Trovo del tutto legittimo che in un’opera di fiction la realtà venga trasfigurata, anzi lo ritengo addirittura necessario. A cosa servirebbero la televisione, i film, i libri e anche l’arte se si limitassero – sempre e soltanto – a riprodurre esattamente, scientificamente, immediatamente la cosiddetta realtà? Come autore di libri noir credo anzi che la forza del genere stia proprio nella sua capacità di consentire l’accesso a mondi diversi, non per forza consolatori né per forza sconcertanti ma altri, magari anch’essi “reali” – che concetto sfuggente, però… -, ma un pochino più nascosti sotto la superficie delle cose, tra le pieghe delle nostre vite, negli angoli bui del nostro essere uomini – e donne – dotati di personalità complesse, multistrato, che non sono mai tutte bianche e neppure tutte nere, che ci impediscono di pensarci sempre buoni ma anche di sentirci esclusivamente cattivi.
Ho dunque fin qui ritenuto che andassero bene quei camorristi un po’ improbabili perché così riflessivi: umani, per l’appunto, e così curiosamente loquaci e sentimentali fra loro. Poco m’importava che Ciro e Gennaro fossero o meno delle figure credibili, o che da qualche parte, a Napoli centro oppure a Secondigliano, esistesse o non esistesse anche un solo malvivente che li ricordasse alla lontana. Peraltro, è da escludere che mafia e camorra prosperino perché prosperano le serie-tv, oppure quei romanzi che ci fanno volere bene ai delinquenti protagonisti di queste storie di sicuro successo. Insomma, io la serie Gomorra la guardavo e ne ero soddisfatto (e, ve lo anticipo, sto continuando a guardarla). A un certo punto, però, è arrivata la puntata numero 6 di 12, in cui Sangue Blu viene mandato da Ciro e Gennaro ad ammazzare – per 300 fottutissimi euro e per una rigidissima interpretazione del controllo del territorio – il povero padre di un ragazzino in sedia a rotelle, senza che fosse importante sapere perché, come si esprime Ciro in quella stramaledetta puntata. Non lo sapeva neppure Ciro, e noi invece sì: quell’uomo si era lamentato perché il gruppo criminale aveva rotto il patto in precedenza contratto, pagandolo meno in busta-paga (cosa anche questa un po’ strana). Al di là di questo, chi – come me – ha seguito regolarmente le puntate della terza serie non può non aver vissuto un senso di smarrimento analogo al mio, non può non essersi chiesto “ma perché?!”. Insomma, il punto è che i camorristi queste cose ovviamente le fanno, ma voi – sì, voi autori – non avevate assolutamente il diritto di farci affezionare a questi personaggi – cosa di cui comprensibilmente da più parti vi accusano – per poi far loro compiere un gesto così incongruente, così astruso rispetto al resto della narrazione, così estraneo al contesto che avevate creato. Gesti così inaspettati che hanno in noi sospeso – in maniera quasi definitiva – la sospensione – scusate il giro di parole – dell’incredulità che vi avevamo donato.
Mi sono detto che lo avete fatto proprio per rispondere a quelle critiche, per avere almeno una delle dodici puntate – perché infatti la numero 7 e la numero 8 sono poi rientrare nella “normalità” cui siamo affezionati da tempo – in relazione alla quale poter affermare: “Avete visto cosa gli abbiamo fatto fare nella puntata numero 6?”. Insomma, un errore doppio e maldestro: avete ceduto alle critiche – dimostrando di temerle e forse, anche, di avere un po’ di cattiva coscienza – e avete rovinato l’intreccio.
Giunto a quel punto, però, mi sono accorto anche di un’altra cosa. Mi sono cioè reso conto che l’uccisione di quel premuroso – e povero – padre di famiglia era apparsa ai miei occhi più grave – poco coerente appunto – dello spaccio di droga, degli omicidi delle precedenti puntate, dei sequestri e della speculazione edilizia, dei reati ambientali. E a quel punto ho allora capito che forse ho davvero un problema. Forse, abbiamo tutti davvero un problema. E allora non è più colpa vostra, non è più colpa mia, e non è colpa nemmeno di chi vi critica tanto. Del resto: “Quel che ci tranquillizza è la successione semplice, il ridurre a una dimensione, come direbbe un matematico, l’opprimente varietà della vita […] Nella relazione fondamentale con se stessi, quasi tutti gli uomini sono dei narratori. Non amano la lirica […] a loro piace la serie ordinata dei fatti perché somiglia a una necessità, e grazie all’impressione che la vita abbia un «corso» si sentono in qualche modo protetti in mezzo al caos” [Robert Musil, L’uomo senza qualità].
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