Cinema

La fine del Gioco (dei troni)

2 Maggio 2019

Al diradarsi della lunga notte purtroppo le prime faci dell’alba non sono arrivate. La morte ha vinto, ma non è uno sviluppo della trama. È la morte della serie più bella del decennio e arriva alla fine della puntata più magnificata della stessa. Dopo un lungo declino qualitativo avviato con la fine del materiale letterario di George R.R. Martin nella quinta stagione, il canto del cigno del decimo episodio della sesta e una settima stagione che non prometteva niente di buono, il colpo di grazia si è avuto dopo lo scorso episodio, il terzo della ottava e ultima stagione. Un episodio pubblicizzato come un film, che ha richiesto 55 giorni di riprese e che aveva un budget probabilmente pari a tutta la magnifica prima stagione. Non ha solo deluso le aspettative ma ha addirittura sovvertito i principi per cui questa serie era stata apprezzata sia dal pubblico che dalla critica.

L’episodio in sé doveva costituire lo scontro finale di cui si era iniziato a porre le basi fin dalla primissima puntata. Il Re della Notte era il nemico estremo, un potentissimo negromante creato con l’obiettivo di sterminare gli uomini. Le premesse erano ottime perché si doveva stabilire il ruolo del principale avversario del Re, colui che l’avrebbe affrontato arrivando ad una risoluzione della trama principale. Chi poteva essere, tra i tanti protagonisti che avevano visto una costruzione antagonistica? Jon Snow il risorto grazie all’intercessione del signore della luce? Daenerys che aveva riportato il fuoco dei draghi in vita? Bran che doveva ancora disvelare il suo ruolo, il potere della sua conoscenza e il rapporto col re? O un personaggio minore, ma altrettanto efficace nel suo cammino verso la resa dei conti intrapreso nelle sette stagioni precedenti? Chi sarebbe sopravvissuto, come e soprattutto perché sarebbe sopravvissuto. La spiegazione e la giustificazione di tutta la molto complessa e articolata trama di Game of Thrones, quasi sempre consistente anche nei ruoli minori, sarebbe dovuta giungere a compimento. Certo non era possibile poter portare a soddisfazione tutte queste domande in un singolo episodio. Però ora ne mancano tre, il Re è morto e non si è fatto un singolo passo avanti. Soprattutto non in una direzione convergente tra le storie dei personaggi.

La carica di Theon anche se riscatta il personaggio l’ho trovata personalmente un po’ improbabile. La vera domanda però è come abbiano fatto a resistere con arco e frecce per tutte quelle ore. Probabilmente una scelta registica per non ammassare i non morti attorno a Bran e lasciare la scena pulita, un po’ come il motivo di far morire tutti i Dothraki subito è stato risparmiare il budget.

La puntata di per sé è stata abbastanza brutta nella sua realizzazione, ed è difficile salvare qualcosa nei vari aspetti, anche nella colonna sonora solitamente azzeccata. Partiamo dal gravissimo problema della trasmissione digitale delle emittenti (in particolare SKY) che ha reso ancora più oscura e indecifrabile una fotografia già sottoesposta. Trovando un modo per vedere la puntata alla qualità pensata da HBO effettivamente il risultato migliora molto. Non cambiano però i problemi tecnici. Se la fotografia è scura per ricreare la lunga notte (e anche perché renderizzare i vfx costa) comunque non aiuta un montaggio confusionario che non fa capire cosa sta accadendo nella battaglia, facendo sembrare soverchiati in più riprese i personaggi. Non riesce a rendere idea nemmeno di quale drago stia sferrando il colpo all’altro e in generale i tagli sono troppo repentini. Eisenstein avrebbe molto da ridire. Passiamo a dei problemi registici non indifferenti. Ad esempio se nella cripta Tyrion e Sansa sembrano rinunciare ad ogni speranza e voler compiere l’estremo gesto ma alla fine fanno l’esatto opposto abbiamo una cattiva resa registica. In altre occasioni si rivela molto didascalica. Altre buffa, con Aegon che gioca a nascondino con le fiamme come se fosse il livello finale di Super Mario. Oppure a volte non fa capire ciò che è successo (Rhaegal, Spettro, Sam circondato dai non morti, sono vivi? Si chiede chi guarda).

Se passiamo alla sceneggiatura troviamo un groviera. Le spiegazioni ad hoc o gli espedienti deus ex machina sono almeno pari alle scelte illogiche, gli esempi che si possono fare sono numerosissimi. La puntata che si apre e si chiude con due apparizioni inspiegate: da dove arriva Melisandre e come fa Arya ad assalire il Re della Notte sbucando dal nulla. La carica a cavallo dei Dothraki con arakh fiammeggianti si esaurisce in pochi secondi ma personaggi circondati da decine di zombie resistono per ore. È talmente assurdo pensarlo che anche il Night King si espone in prima persona, perché crede che ormai sia fatta. Drogon che abbandona sua madre e svolacchia via. Insomma i problemi sono tantissimi, ma tutto sommato molti sarebbero ancora passabili o in linea con le passate stagioni. Ma allora perché è finito il gioco dei troni?

Uno delle tante cose non spiegate è il Re ignifugo al fuoco di drago, ma sofferente l’acciaio valyriano forgiato con quel fuoco.

Probabile che i produttori della serie abbiano iniziato a puntare sull’effetto “wow” e sul prodotto vendibile al più largo pubblico perché hanno scommesso che i vecchi fan ormai dalla stagione settima in poi avrebbero comunque portato a compimento il percorso. Era tempo quindi di accalappiare nuovi consumatori. Io credo che chi abbia guardato “La lunga notte” attirato dalla réclame e come prima puntata di Game of Thrones sia rimasto soddisfatto, digitalizzazione permettendo. Anzi incuriosito dal capire come si svilupperanno le varie vicende, sia stato invogliato a guardare anche le rimanenti tre puntate e specialmente tutte quelle precedenti. È questo il problema in sé e per sé de “La lunga notte”, ogni accadimento dovrà essere motivato ex post. Si dovrà attendere la puntata successiva per trovare spiegazione del ruolo dei personaggi in questa. Si è sacrificato il realismo per salvare parecchi da una situazione di morte certa.

Ciò che contraddistingueva Game of Thrones, oltre alla qualità tecnica e registica, era che il colpo di scena non era un pugno nello stomaco improvviso e di cui bisognava attendere ragione. Era già tutto lì. Ned Stark muore, ma sappiamo che Joffrey è un pazzo bastardo. Le nozze rosse sono dovute a una cattiva gestione politica del Giovane Lupo, tant’è vero che i personaggi hanno paura a tornare da Walder Frey. La stessa rivelazione che Jon è in realtà Aegon è preparata fin dalla prima puntata della prima stagione. In questo episodio invece non si fa un passo avanti nel capire il ruolo di Bran, né del suo comportamento; non si capisce il potere del Signore della luce e il motivo per cui abbia riportato Jon in vita; non si capisce perché sia proprio Arya la prescelta se non per una battutina ripresa da quattro stagioni fa. Il nemico principale è morto, in una maniera che sorprende ma senza nessuna ragione per cui sia morto in quel modo e in quel momento. L’unica cosa che si risolve è l’ansia dello spettatore che vuole capire com’è possibile che sopravviva qualcuno. Sopravvivono tutti, meno lo spirito de Il Trono di Spade.

Il colore dei draghi difficile a credersi ma era riconoscibile, anche se siamo lontani dalla cura fotografica di Kubrick.
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