Cinema

Impressioni di gennaio

13 Gennaio 2020

Mi capita qualche volta su twitter di dare un occhiata ai post dei seguaci della Lega. Oltre a sbagliare sistematicamente la grammatica, hanno una visione giustizialista, xenofoba, razzista e forcaiola. Se questa è l’Italia…

Ma è questa l’Italia? Questo è il “popolo”?

Probabilmente no, o meglio non tutto almeno. Forse un po’ è il portato dei social, che fanno emergere pensieri gridati, urlati, odianti. L’acqua nella quale ci si muove è certo comune, talvolta tracima e allaga anche gli spazi più sereni nei quali si vorrebbe sostare. Eppure, v’è in molti, ed io tra essi, un grande bacino di riserva, nel quale rifluiscono pensieri, emozioni, affetti – con o senza la loro regolazione. Non lo si trova sui social però, va cercato nel silenzio, nella  lettura di un libro o nell’ascolto di qualche vecchia canzone. O al Cinema – nello spazio quasi liturgico del Cinema, voglio dire – anche se, per quanto mi riguarda, ci vado sempre meno.

Va beh, qualche volta ci vado. Ieri ad esempio ho deciso di guardare il film di Amelio su Craxi, Hammamet.  Ho chiesto a mia madre che ne pensava (c’era andata il giorno prima, e mi aveva mandato un messaggio whatsapp). Riporto testuale il suo giudizio: «Il dramma di un uomo malato lasciato solo e assistito dalla figlia. L’episodio dei vetri rotti è vero. Non mi ha fatto impazzire comunque il film».

A me anche ha colpito il romanzo familiare del vecchio Craxi, certo. La strenua volontà di cura da parte dei figli, soprattutto di Stefania. Ma anche taluni discorsi, parole, immagini che vi si incrociano.

La feroce accusa, certamente e retrospettivamente profetica, contro il populismo giustizialista. Propriamente parlando, Craxi non usa la parola “popolo”, se non in senso alto e nobile. Usa la parola “gente“, in senso ovviamente dispregiativo: entità collettiva impersonale – non riflessiva – e mimetica, metaforizzata dalle monetine (la cui visione ci è risparmiata nel film), e da uno sketch vagamente felliniano con cui la pellicola quasi si chiude.

E’ un film da vedere, per quelli della mia generazione. Lo ammetto, io ero anticraxiano, leggevo Micromega e Diario, e le pagine interne dell’Unità, ogni tanto anche Repubblica.  Ascoltavo De Gregori (“La ballata dell’uomo ragno“). Ma soprattutto osservavo coscientemente – per quanto potevo – quel periodo di transizione tra fine anni ’80 e primi anni ’90.

L’impressione su Craxi? Ecco: avevamo torto. E aveva ragione lui. Non ho nient’altro da dire, su questo punto. In gran parte perché odiavamo in lui i nostri genitori. Soprattutto i nostri padri. Per lo meno, questo era vero per me.

(Su Berlusconi continuo a pensare che avevamo ragione noi, invece. Ma forse anche su questo mi sbaglio? Cioè… in gran parte avevamo ragione, ma l’attitudine giustizialista c’era pure, e quella ha portato, per vie diritte o traverse, al populismo. Ma la sua figura almeno nel film, è quasi assente, se non per un riferimento intradiegetico ad un’intervista di Vespa).

Vedendo Hammamet, si capisce qual è il vero referente polemico: il populismo attuale, ripeto. Ma il suo tema principale mi pare  anche un altro.

E l’amore  – e l’odio – per il padre è il tema interiore del film. Come è il tema di un altro grande film “politico”, e cioè Buongiorno notte, di Marco Bellocchio.  Il padre non solo rispetto alla sua famiglia, ma il ruolo simbolico del padre nella nostra società italiana. I due film si somigliano nel loro privilegiare i tempi teatrali nei dialoghi e per la cura della fotografia e delle musiche. Ma c’è sicuramente dell’altro… Là il padre è ucciso dai giovani rivoluzionari, qui dalla malattia, e dall’esilio a causa di un’altra (?) rivoluzione.

Detto questo, a dispetto dell’apparenza, il film non è agiografico. Però è militante, questo sì. A tratti evangelico. L’amore dei poveri, per gli strani, per i marginali, la passione per la libertà, i legami. La famiglia. Il padre. I figli. L’amore. La politica. Gli spaghetti col sugo.

La solitudine alla quale questo paese condanna il leader sconfitto. L’illusione di cambiare, senza capire che si è sempre gli stessi.

Non dubito che accadrà così anche per gli attuali leader – e Dio non voglia – quello futuro. Quello che i seguaci della Lega onorano, e di cui celebrano, sugli scudi, la gloria. Oggi… Ma allora lui, sì proprio lui, diceva : «Se Craxi mette piede in Italia, passi da San Vittore».

I tempi stanno cambiando… o forse noi siamo cambiati.

 

 

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