Cinema
Il pianista, l’autobiografia oltre il racconto di sé
Di recente ho rivisto “Il pianista”, di Roman Polanski, tratto dall’autobiografia del musicista polacco, Wladyslaw Szpilman. Non c’è niente da fare: ci sono libri che vale sempre la pena rileggere e film da rivedere! Mentre, la musica è da ascoltare perennemente, ovunque e comunque. Rispetto alla precedente visione ho colto, questa volta, una magia che pure avevo avvertito in qualche modo, senza, tuttavia, elaborarne il messaggio straordinario e toccante, espresso nella forma delle note del pianoforte e dalle emozioni che traspirano dal loro suono. Il finale struggente del film rivela come per parlare di guerra, o descriverla, non occorra solamente conoscenza e competenza, ma anche delicatezza.
Wilm Hosenfeld, ufficiale tedesco scopre l’ebreo Wladislaw nascosto in una soffitta di uno dei pochi edifici rimasti in piedi di Varsavia. Il soldato apprende che l’uomo impaurito e affamato che ha di fronte è un pianista, e lo invita a suonare un brano sul pianoforte situato in una delle stanze dello stabile. L’atteggiamento dell’ufficiale è abbastanza anomalo. A un militare della Wehrmacht, canonicamente inteso, non dovrebbe importare un bel niente dell’attività di un povero ebreo, trovato in una casa abbandonata.
Pur essendo denutrito, ferito e spaventato, Wladyslaw riesce comunque a trovare la giusta concentrazione per suonare. Esegue in maniera sublime la “Ballata in sol minore” di Chopin, imprimendole un’intensità che rende la scena di una drammaticità altissima e straziante. Come potrebbe spiegarsi una circostanza del genere, che finisce per diventare un evento fuori programma? Semplice, il talento riesce a staccarsi da tutto per elevarsi, anche dal dolore, dalla fame, dall’orrore della guerra. Solo chi ha talento, avrebbe potuto, in quel frangente, riuscire a focalizzare la propria attenzione sullo strumento per suonarlo a meraviglia, poiché la musica reclama interamente per sé il musicista, che si concede con tutta la sua anima, abdicando da ogni commozione e rifugiandosi in quella che gli viene dallo spartito.
Una volta che le note prendono a spandersi per la stanza, il tedesco ne resta estasiato e riconosce le sbalorditive doti del pianista, risparmiandolo da una morte certa e arrivando finanche ad aiutarlo.
Ecco, Polanski con la sua arte ci dice che la pace è sorprendentemente percorribile nella semplicità e nella linearità dei rapporti umani non condizionati da sovrastrutture. La conoscenza dell’altro è fondamentale per non farne un nemico.
Devi fare login per commentare
Accedi