Cinema
Il colibrì, quando i vissuti familiari guidano la nostra vita
“Quando siamo colpiti dal lutto censuriamo la nostra libido, mentre è proprio quella che può salvarci. Ti piace giocare a pallone? Giocaci. Ti piace camminare in riva al mare, mangiare la maionese, dipingerti le unghie, catturare le lucertole, cantare? Fallo. Questo non risolverà nemmeno uno dei tuoi problemi ma nemmeno li aggraverà, e nel frattempo il tuo corpo si sarà sottratto alla dittatura del dolore. Devi cercare di salvare dal naufragio tutte le cose che ti piacciono.”
Un file rouge unisce tutto il Colibrì, che tiene insieme la storia e avviluppa tutti i suoi personaggi, che come in una morsa non riescono a sottrarsi dalla spirale del dolore.
La prima a sentire questo filo è Adele, la figlia che Marco Carrera, interpretato da un eccelso Pierfrancesco Favino, ha avuto con Marina, Kasia Smutniak. Un filo che, nella fantasia della bambina, la lega alle mura e che lei per non fare inciampare le persone che le sono accanto è costretta a girare loro intorno. Lo confesserà al padre che ne parlerà alla madre con la quale decidono di farle fare scherma. Quel filo, come chiarirà l’analista, è lo schermo dietro cui Adele nasconde una richiesta di rapporto col padre che è un medico impegnato, distante dalla vita familiare di cui si è fatta carico Marina, rinunciando, dopo il matrimonio, anche al suo lavoro di hostess di terra.
Marco, onesto e perbene, è figlio di una famiglia ricca e benestante che ha vissuto un forte dramma familiare: la perdita della sorella Irene suicidatasi a 24 anni. Si innamora di Marina guardando una trasmissione in tv in cui lei, intervistata, racconta del dramma della sorella a cui avrebbe dovuto donare un rene, fortunatamente compatibile; ma la tragedia vuole che l’aereo su cui la sorella si trovava, precipita e per puro caso chi l’accompagnava nel viaggio era un’amica e non lei. Marco avrebbe dovuto trovarsi anche lui su quell’aereo da cui è sceso perché l’amico fraterno è aerofobco ed è assalito da un attacco di panico. In un impeto di passione forse dettato dalla similitudine delle loro storie, e dall’empatia per quella sofferenza, il giorno dopo Marco si reca in aeroporto, supera la fila con la scusa di una richiesta urgente, chiede a Marina di pranzare con lui e le fa capire che sarà per la vita. La aspetta per ore prima che lei finisca il turno, quelle ore saranno l’inizio di un lento ed inesorabile cammino negli abissi della sofferenza.
Marina va da anni da un analista Daniele Carradori, interpretato da Nanni Moretti, a cui, oltre ai suoi tradimenti, racconta dell’amore vero del marito, della corrispondenza che dura da anni tra lui e Luisa Lattes, una ragazza bellissima e inconsueta. Un amore che nasce durante l’adolescenza che mai verrà consumato neppure quando Marco trascorre con lei dei week end a Parigi, e che durerà per tutta la vita.
Luisa vive in un mondo di falsità, si rifugia in fantasie e realtà parallele quando non riesce a sopportare il peso della realtà, una sorta di bovarismo che le consente di evadere da ciò che il suo cuore e la sofferenza non accettano. Non era mai stato preventivato che lei accompagnasse la sorella nel viaggio in aereo, addirittura i loro reni non erano compatibili. Persino il suo matrimonio sarà una farsa, quello di Marco è stato un amore dettato più dalla pietà e dall’immedesimazione che da un vero sentimento.
Marco è una contraddizione vivente: se è taciturno e aderente ad uno schema familiare, l’amicizia con l’amico di cui si dice porti iella, è contraddistinta da una voglia di trasgressione che manifesta nella danza rocambolesca che accompagna l’ascolto di London calling. È un procastinatore, Luisa Lattes è l’opportunità mai colta neppure quando la moglie gli chiederà il divorzio dopo avergli confessato tutto. Marco è quello sempre fermo come gli dirà Luisa, come il colibrì, il piccolo volatile che agita disperatamente le sue ali per rimanere immobile. É quello schiacciato dai sensi di colpa – di stare con Luisa Lattes la notte in cui la sorella programma di suicidarsi – quello che nonostante la sua stasi esteriore ha un mondo interiore molto ricco e forte. Una forza che lo porta a sopportare la perdita della figlia per la quale ha ridotto il lavoro che ama per dedicarle tempo e che aiuterà nell’atto del parto, sopravvivrà persino alla notizia che Luisa ha una relazione stabile col fratello Giacomo, che diversamente da lui è un uomo deciso. Innamorato di Luisa anche lui durante la gioventù, non se l’è fatta sfuggire. La sua natura coriacea lo tiene in vita, secondo le sue regole di vita, persino quando anni dopo incontra l’amico su cui si era diffusa la diceria che fosse uno iettatore e gli confessa che essendo diventato in quel campo uno dei più rinomati, era stato chiamato a partecipare a quella serata perché l’organizzatore voleva che Marco, sotto l’influsso della iattura, venisse malamente battuto nel gioco del poker. Marco vince, non credendo alla iella e non cedendo al consiglio dell’amico di abbandonare il tavolo, ma l’intero suo mondo si ribalta.
Decide che quei soldi non gli sono utili, che ha tutto quello che vuole, il suo lavoro, sua nipote, e userà simbolicamente l’ingente vincita per riacquistare le foto della madre, famoso architetto, che aveva donato alla sua morte ad una galleria.
Capisce la vacuità delle persone che gli sono accanto e concentra sulla nipote che sta crescendo da solo tutto il suo affetto.
Il film è un susseguirsi di flashbacks che mostrano la vita di un uomo che parte da quand’era bambino, lo segue da adolescente, poi da adulto, padre, nonno. Flashbacks che ricostruiscono la storia che si muove a livello molto emotivo nella vita dei personaggi, che ne svelano episodi che li hanno segnati e che prima di rivelarsi all’altro, li rivelano a se stessi. Se la vita è scandita da un percorso temporale i ricordi si accumulano, si addensano, annodano passato presente e determinano a volte il nostro futuro. Perché spesso dietro i propri vissuti si celano atmosfere e strutture familiari, motivazioni dettate da pulsioni più che veri e propri sentimenti. La rottura dello schema familiare che Marco non ha saputo operare sarà realizzata dallo psicologo che aveva in cura Marina che dopo il fallimento del secondo matrimonio è in cura presso una clinica. Daniele Carradori, infatti, dopo che anni prima irrompe quasi nello studio di Marco raccontandogli della moglie, infrangendo, quindi, i dettami dell’etica professionale, si allontana dallo professione da studio e ringrazia Marco per questo, ha sconfinato e rinnegando quel necessario distacco con la vita del paziente si lascia coinvolgere fino alla fine.
Da giudice sul campo di tennis, durante uno dei loro ultimi incontri, mentre Carradori gli rivela che quella posizione gli dà l’illusoria convinzione di poter essere superiore e di poter esercitare un controllo sulle loro vite, Marco gli rivela di essere malato. Sceglierà l’eutanasia, non vuole che lo spettacolo della sofferenza che lui ha vissuto attraverso la malattia del padre possa essere rivissuto dalla nipote, motore finale della sua esistenza. La famiglia si riunisce attorno all’evento della morte indotta senza lagna, come il leitmotiv che spesso ripete all’amata nipote.
Ritornano in mente la figura della madre, interpretata da Laura Morante antipatica e anticonformista, il padre succube Sergio Albelli, l’amico iettatore interpretato in vecchiaia da un inconsueto Massimo Ceccherini iettatore.
Una vita forse ferma come quella del colibrì, ma altrettanto ferma nel non smarrire i valori della vita e fare della vita un bene da donare prendendosi cura degli altri. Fermamente, senza retrocedere mai.
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