Cinema
Il cinema dopo Dio: Enter the Void
Se pensate che le porte della percezione si possano varcare solo con roba tipo LSD o Peyote allora siete come inguaribili romantici che non hanno ancora visto Sex and the City e, per recuperare sul terreno dei cartoni e delle paste, vi tocca la visione di Enter the Void.
La pellicola di Gaspar Noè compie dieci anni, ma se non fosse per i telefoni non ancora smartfonizzati che vi compaiono, si direbbe che il film arriva da qualche futuro.
In una Tokyo prevedibilmente alienante, galleggia la vita di Oscar, un giovanissimo ragazzo francese che vivacchia spacciando, ma soprattutto sperimentando, sostanze allucinogene. Una di queste, quella che sembra calamitare maggiormente il suo interesse è il DMT, una droga semi sintetica assimilabile all’ LSD, presente nel nostro fluido celebro spinale, che ha la particolarità inquietante di simulare lo stato di premorte.
Oscar sembra inconsapevolmente interessato a vivere il trapasso. Coinvolto da bambino, insieme alla sorellina, nell’incidente mortale in cui perse entrambi i genitori, il regista ce lo mostra impassibile davanti ai due cadaveri, quasi a suggerire che l’alienazione incongrua che lo ha protetto dallo shock sia la chiave del suo attuale affanno.
Come in una tragedia shakespeariana, sul destino del protagonista si apre la partita invincibile con la morte dove la predizione è rappresentata dal Libro Tibetano dei Morti e la condanna è il colpo di pistola che lo finisce. A questo punto sul protagonista si abbatte un doppio lutto: la propria morte e la sua inconsapevolezza.
Nella confusione dolorosissima di non poter partecipare al viaggio più importante della propria vita, il regista presta gli occhi al protagonista che invece li chiude sul mondo. E qui, si può dire, inizia il film, che è una rappresentazione di un aldilà strutturato sul libro del Bardo, ma soprattutto è un’esperienza immancabile su come l’immaginabile possa rispondere alla domanda fondamentale: cosa c’è dopo?
Noè ci dice che a volte la vita può essere una schifezza, e non basta avere vent’anni o un qualsiasi tutto, per non avere il diritto di dirlo perchè può accadere qualcosa che ti esilia dalla vita e rientrarci diventa complicato.
Il regista tiene coraggiosamente aperto il suo discorso con le sostanze, e come fa nel recentissimo Climax ne riconosce il fascino immaginifico portandoci però al risveglio sulla complessità del reale.
In Enter the Void però, va oltre, e aggiunge alla retorica delle droghe che rubano la vita quella dell’inquietudine che sottraggano persino la morte.
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