Cinema
Il bicchiere di sake mezzo pieno o mezzo vuoto
Lo so che parlare di condizione femminile in questo periodo è un po’ vincere facile, ma dalla mia ho due elementi: il primo è la sincera passione che nutro per tutto ciò che riguarda il Giappone; il secondo è che in Italia della condizione femminile giapponese se ne parla, ma nemmeno più di tanto. Io volevo unire questi due elementi per fare una riflessione congiunta, partendo da una sostanza già ben nota: le donne in Giappone sono dichiaratamente frustrate, intrappolate in un immaginario di dolcezza, devozione, deferenza e altri termini che vi possono venire in mente. Mi sono trovata a riflettere su questo tema perché ho notato nella produzione televisiva giapponese un movimento, un implicito segnale che forse anche in quel Paese le cose, lentamente, stanno per o vogliono cambiare.
Tokyo Girl è una serie tv trasmessa in Italia da Amazon Prime Video, una sorta di Sex and the city orientale dove Aya – impersonata da Asami Mizukawa, attrice di bellezza superiore – percorre le tappe che tutte le ragazze giapponesi sognano: partire da una piccola cittadina di provincia per trovare il successo e la piena realizzazione di sé a Tokyo grazie a una serie di relazioni amorose che funzionano come i livelli di un videogioco. Dal bravo ragazzo del quartiere più dimesso, all’arrampicatore sociale infedele fino al raffinato venditore di kimono. Tutti le insegnano qualcosa e piano piano Aya diventa davvero la sofisticata donna con una carriera brillante in Gucci e una casa a Ginza, il quartiere più posh della metropoli. Nonostante un’apparente mentalità aperta e un intorno upper class, Aya desidera e riesce a realizzare un sogno che non è indicatore di vera libertà: fare carriera, sposarsi, avere figli entro un’età socialmente dignitosa. E sebbene la serie tv ci affascini mostrandocene il lato glam e avventuroso, instilla il dubbio che il sogno sia più simile a una costrizione sociale.
Aggretsuko è un anime (in Italia distribuito da Netflix) che vuole mettere l’attenzione sulla condizione femminile giapponese con ironia, ma stavolta senza indorare la pillola.
La protagonista è una ragazza-panda che inizia a lavorare come impiegata in un ufficio e qui subisce le angherie del suo capo, le rivalità di alcuni colleghi e il conforto di altri. Il tratto del disegno è rotondo, i personaggi fanno le faccine, le figure femminili squittiscono felici qualsiasi cosa accada. L’elemento divertente della serie – e della denuncia allo stesso tempo – è che Retsuko, conciliante e composta tutto il giorno, la sera si rifugia nei club di karaoke per cantare canzoni heavy metal e poter così sfogare la frustrazione. Anche Retsuko vagheggia la salvezza con il matrimonio per non lavorare più e non subire più stress né mobbing.
Parallelamente, su YouTube e su vari social è stato pubblicato uno spot pubblicitario di Van Houten Cocoa da più fonti e a più riprese a partire dal 2016 fino al 2018: una mamma reprime la propria aggressività contro marito e figli sognando di essere una star del metal mentre beve una cioccolata calda sul divano in un momento di pausa dai lavori di casa.
Simili nell’approccio, anime e spot forniscono un quadro della vita quotidiana al femminile certamente divertente ma altrettanto amaro e cinico. Al contrario di Aya, non c’è nessun aspetto glam nella vita di Retsuko o della metal mom, solo ansia, monotonia e nessuna via d’uscita da un circolo sociale vizioso. Perché se Retsuko aspira al matrimonio, la metal mom invece ne vorrebbe uscire.
Riflettendo sui tre prodotti, la mia sensazione è che finalmente in Giappone si stia prendendo in esame la condizione femminile vedendola come è di fatto. Sento ancora qualche difficoltà se la si esorcizza tramite un’ispirazione ironica per anime e spot pubblicitari, come se ancora non si legittimasse la possibilità di affrontarla seriamente, ma un passo alla volta magari si arriva a una presa di coscienza autentica e senza mezzi termini. Se con Aya il bicchiere di sake era ancora mezzo pieno, con Retsuko e la metal mom il bicchiere è mezzo vuoto. E per una volta può essere una buona notizia.
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