Cinema

I film che tua madre non ha mai visto: “Cannibal Holocaust”

6 Agosto 2022

I FILM CHE TUA MADRE NON HA MAI VISTO (E FORSE NEMMENO TU)

3) “CANNIBAL HOLOCAUST” (1979, Ruggero Deodato)

TRAMA: Amazzonia. Un servizio televisivo informa che quattro giovani reporter famosi per i loro servizi estremi, Jack Anders, Shanda Tomaso, Mark Williams e Alan Yates, erano stati incaricati da una emittente televisiva di girare un documentario sulle tribù che praticano il cannibalismo nella regione brasiliana, ma non danno più loro notizie da due mesi. Il professor Harold Monroe viene incaricato di effettuare le ricerche e, mentre raggiunge la località, dà ordine di far partire subito una spedizione di soccorso Il professore inizia quindi la sua ricerca, facendosi accompagnare dalla guida Chaco, dal giovane indio Miguel e da un yacumo catturato. Nella foresta i quattro incontrano serpenti, giaguari, caimani e sanguisughe; trovano anche il cadavere scarnificato di un uomo, amico di Chaco, che era stato incaricato di scortare i quattro reporter, nonché il gigantesco guscio squarciato di una tartaruga.(…) fonte: Wikipedia

 

RECENSIONE: prima di scrivere la mia opinione su questo film è d’uopo premettere che il titolo di questa mia rubrichetta è sostanzialmente ironico. Non posso sapere se tutte le mamme hanno o non hanno visto i film che seleziono; e nemmeno se tu non li hai visti. Solo un gioco per dire che sono film terribili. Specifico anche che non è un modo di definire questi film come “sconosciuti”.

Questo a esempio è celeberrimo, fosse anche solo per il titolo. Credo sia giunta l’ora per me di liquidare questa pellicola per quel che realmente ho maturato nel corso degli anni. “Cannibal Holocaust” è un film solo parzialmente risolto, anche se resta l’unico vero grande film del genere cannibal movie mai realizzato nel nostro paese e forse in tutto il mondo. Perchè dico “parzialmente risolto”? Innanzitutto serve premettere che il film di Deodato (prodotto da Palaggi, quello di “Per un pugno di dollari, esercente romano di grossa taglia divenuto produttore) nasce da lontano. E questo “lontano” sono i mondo movies di Gualtiero Jacopetti. Con i suoi pseudo documentari su curiosità e bizzarrie nel mondo Jacopetti apre un botola all’interno del cinema, scoperchia un vaso di Pandora in cui si mescola abilmente e truffaldinamente, la volontà di sapere con la curiosità di vedere le cose “sporche”. Sesso, deviazioni, stravaganze, violenze. Al contrario di ciò che ne pensa Winding Refn io trovo tutt’oggi Jacopetti un furbo gaglioffo che realizza pornografia della visione con una fasulla voce over sentenziosa, che fornisce una patina di scientificità a film qualunquisti e razzisti, nel senso ampio del termine. Ma vero è che questo sdoganamento ha permesso di creare un nuovo filone dove il cinema riusciva a mettere in scena, involontariamente, il suo tempo (sono gli anni 70, sostanzialmente, anche se Jacopetti è del decennio precedente). “Cannibal Holocaust”, giunto alla fine della corsa del genere cannibale, per un verso, sembra essere la sconfessione, la messa in luce degli intenti ipocritamente celati del mondo movie. E lo si evince dalla vera grande idea del film: il found footage, ovverosia il ritrovamento di pellicole che i giovani studenti avevano realizzato per il loro documentario sull’Amazzonia. Se i film di Jacopetti sono montaggi ad arte e artefatti della realtà (si dice che una volta fece fermare un plotone di esecuzione vero per cambiare l’obbiettivo della cinepresa), arbitrariamente composti per una visione assolutamente finalizzata, questo film di finzione (quasi finzione…) riesce ad essere reale, vero come il vero. Le pellicole ritrovate non han subito la mannaia del montaggio, vengono sviluppate e stampate così come sono e così altrettanto vengono proiettate ai familiari dei ragazzi scomparsi. A questo punto la sequela di immagini svelano i reali intenti dei bravi giovanotti: sono loro autori di massacri, turpitudini, violenze su uomini e animali. Uno di loro continuerà a girare nonostante stia filmando il massacro dei suoi amici da parte dei cannibali, che giustamente si son rotti le sfere di sti debosciati, e anche morendo il cameraman la cinepresa, quasi autonoma continuerà a girare fino a fine pellicola. La parte del found footage è quella che fa la differenza; si vedono cose immonde ma Deodato ha il genio di porre un filtro intellettuale a ciò che vediamo. Un metafilm, contrappuntatogenialmente dalle musiche “per contrasto” di un ispiratissimo Riz Ortolani che fornisce senso e non poco spessore a ciò che siamo costretti a vedere. Non c’è il narratore omniscente alla Jacopetti che con la voce fuori campo dirige e veicola i pruriti dello spettatore. Il film, per quanto finto è nudo e crudo. Insomma, è “la verità” e in questa idea metafisica trova completa giustificazione. Il problema riguarda la prima parte, dove Deodato invece resta ancorato al voyeurismo jacopettiano. Siamo nella fiction e l’insistenza su un volto massacrato da una mitragliata, la perforazione del cuoricino di un topo muschiato, il disgusto che si prova nel vedere una bevanda resa poltiglia grazie al passaggio di bocca in bocca da parte della tribù del “popolo degli alberi” (la cui location è magnificamente realizzata dal grande Geleng), sono puro jacopettismo d’accatto. Benché girate sempre con buona qualità da una mano registica salda, siamo lì che diciamo “che schifo questi primitivi”; filosofia jacopettesca, senso di superiorità donato a noi spettatori che mica ciucciamo il cibo e lo passiamo di bocca in bocca, sia mai, noi mangiamo pulito (tranne quando facciamo la poltiglia da dare ai neonati). Non nascondo che le ambiguità si trovano anche nel found footage; se l’intento di mostrare gli occidentali jacopettizzati che in realtà sono delle bestie verso cui non provare pietà resta saldo, non si può negare che lo scoperchiamento della tartaruga, una delle scene più crudeli che abbia mai visto, sta lì anche per stimolare il nostro ambiguo interiore. Operazione perversa, che scorre lungo tutto il resto della proiezione della seconda parte. Ma almeno l’intelligenza di realizzare una parte tutta fatta di movimenti di macchina a mano, tremolante come molti film contemporanei, l’idea che sapere come stanno davvero le cose e persino il messaggio antioccidentale reggano alla grande. Non me la sento di salvare le uccisioni vere degli animali. In una scena finale vediamo Barbareschi (che non si è fatto accreditare nel cast) prendere a calci un maialino e sparargli, davvero. Erano altri anni, certo. Ma comunque resta il sospetto che anche in questa seconda parte del found footage lo jacopettismo sia dietro l’angolo. Ok, noi carnivori uccidiamo ciò che mangiamo ma lasciatemi dire che il VEDERE cinematografico resta altra cosa. In questo caso mi appello alla morale della visione e non mi sento moralista. Ah, tranquilli, Barbareschi alla fine verrà mangiato, non preoccupatevi. In definitiva “Cannibal Holocaust” è per me una tappa cruciale del genere (ma non è “Salò”, ecco, neanche lontanamente). Ma siamo sicuri che risolva tutte le ambiguità legate al genere exploitation cannibale? Per me è un nì. Certo come morale del “girare a tutti i costi” funziona abbastanza bePerry Pirkaner e Luca Barbareschi in "cannibal holocaust"ne

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