Cinema
I film che tua madre non ha mai visto: scorpio rising (k.anger)
I FILM CHE TUA MADRE NON HA MAI VISTO (E FORSE NEMMENO TU)
5) SCORPIO RISING (1963, Kenneth Anger)
Trama: avventure di bikers cultori di Brando e Dean
RECENSIONE: “Quando gli uomini smettono di credere in Dio, non è che non credono più a nulla, ma credono in qualsiasi cosa. ” (G. K. Chesterton). Non credo sia una citazione così arbitraria. Il cortometraggio di uno dei più idiosincratici cineasti di sempre, divenuto poi pettegolo di lusso su Hollywood, racconta di un mondo che ha una religione, a coprire il posto vacante di quella ufficiale, cristiana. I crocifissi vengono sostituiti dalle motociclette, il nuovo Gesù è Brando de “Il selvaggio”. Per capire come nel 1963 questo culto fosse vivissimo in USA, basti ricordare che mentre da noi il film di Ray circolava nelle terze visioni, oltreoceano era stato proibito per lungo tempo, alimentando un culto che a noi in parte può sfuggire. Noi abbiamo “Un americano a Roma”, negli USA hanno Scorpio Rising.
Il film è, a mio parere, in primis legato alla tecnica del montaggio delle attrazioni dell’Eizenstejin di “Ottobre”. A un’immagine se ne accosta un’altra e allo spettatore resta il compito di trovare il risultato degli accostamenti. Anger getta uno sguardo ironico e a piccoli tratti un po’ moralista ma lucido, sulla casta dei bikers. “Scorpio rising” sta a individuare la confratenita di questi eroi da superuomo di massa (alla Eco) che han scelto di venerare miti di celluloide; sottolineando i pregi e i pericoli del cinema visto come identificazione soggettiva. Vediamo giovani e belli motociclisti vestiti di pelle e borchie, identici a quelli che troviamo nei disegni di Tom of Finland. Il culto dell’oggetto motocicletta, smontata, pulita e riassemblata a cui Anger accosta le immagini di un biker bambino che gioca con delle motorette di latta. Il risultato dovrebbe essere che siamo davanti a dei bambini che si credono dei. Oltre a ciò è indiscutibile tutto il sottotesto omoerotico della visione di questi corpi, ipertrofici, macho ma di un machismo gay a cui, sempre col montaggio intellettuale, si accostano immagini di un vecchio film su Cristo che, aternato al proselitismo di un predicatore delirante che minge nel casco come se fosse il sangue del Signore, offre la coppa a dei presumibili astanti. A un Cristo visto come un leader è inevitabile trovare immagini di un altro leader, altrettanto travisato come si fa con quello religioso: Adolf Hitler. Una schizofrenia di senso che è possibile in una mente che non capisce i suoi simboli ma li fonde col massimo grado si superficialità ma necessità e a proprio piacimento. Anger filma tutto con una semplice luce da spot, come se stesse cercando di fare chiaro alla bell’e meglio su un mondo sotterraneo. In questo senso le immagini dell’orgia omosessuale, con scampoli di immagini di genitali maschili e senape spalmata sul ventre di uno dei partecipanti sono davvero un sottobosco rimosso dalla cultura statunitense. Ma inoltre si oppongono alla gayetà ipermascolina dei motociclisti che son pronti a fare pulizia dei depravati (che vestono maschere della morte messicane rivelando senza paura la loro natura. I bikers sono ricoperti di pelle ma rivelano parti del corpo anabolizzate, simboli del macho che inevitabilmente sono più gaye dei partecipanti all’orgia. Statue di gioventù e bellezza, isolate e auto-rimiranti, fosse uno specchio, l’obbiettivo di Anger o i film di Brando (un’incona gay assoluta) e Dean (idem) che ininterrottamente scorrono nei loro televisori. Solitudine del biker e confusione collettiva dell’orgia. Un contrasto che verrà sanato nel rutilante, caleidoscopico finale, assolutamente angeriano nel suo vorticare, con l’uso della sineddoche: vediamo un faro della polizia, sentiamo delle sirene. Alla fine saranno i poliziotti di latta a far ritornare tutto a posto, ricacciando nelle fogne le due subculture antagoniste. Da sottolineare che il film è muto ma costantemente sottolineato e commentato da canzoni d’epoca (tra cui Blue Velvet e Heatwawe o Wipe out). Una tecnica che poi ritroveremo anche nei film di Scorsese o Tarantino, anche se qui i testi sono un glossario ironico alle immagini mostrate. Di certo opposta alle nostalgie di “American Graffiti” E anche la scelta dei flashforward in cui alla vestizione vediamo immagini di bikers già in azione. Cinema puro, che affida il senso solamente ai suoi strumenti: montaggio in primis (Eizenstejin…). E così come i titoli di testa sono le borchie di un biker culturista, altrettanto narrativo/oggettificati sono il paradossale disegno del teschio capellone con una sigaretta su cui c’è scritto, ossimoricamente “Youth”(la morte aleggia nel garage di un biker ma quella maschera accostata a questa vignetta viene parodizzata) e la scritta “The end” su una cintura borchiata. Probabile che Fassbinder, quello di Querelle, conoscesse bene questo film…
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