Cinema
I film che tua madre non ha mai visto: “L’occhio selvaggio”
I FILM CHE TUA MADRE NON HA VISTO MAI (E FORSE NEMMENO TU)
4) “L’OCCHIO SELVAGGIO” (1967, Paolo Cavara)
TRAMA: Un cineasta gira il mondo con una piccola troupe alla ricerca di scene sensazionali, e quando può falsifica la realtà per renderla spettacolare. (Fonte: wikipedia)
Disclaimer: non ci sono scene di violenza grafica
RECENSIONE: una piccola perla nascosta del cinema italiano, riscoperta qualche anno fa e a cui e stato dedicato un intero libro, edito da Bompiani. Cavara, regista interessante (atsalud pader, …e tanta paura, la tarantola dal ventre nero; ma anche il western Los amigos non lo trovo cosi male) tradisce il suo mentore, quel Gualtiero Jacopetti col quale aveva collaborato per i mondo movies. “L’occhio selvaggio” è il dietro le quinte dei film scandalo jacopettiani e Philippe Leroy è praticamente Jacopetti. Si potrebbe immaginare un film che è una furente invettiva e invece è un film raffreddato, distaccato, il regista sceglie di opporsi allo stile al calor bianco dell’ambiguo pseudodocumentarista. L’elemento chiave è la storia d’amore con Barbara (una splendida Delia Boccardo) che il protagonista “prende” al marito, che la lascia libera di scegliere. Se Barbara è il contraltare morale al regista, allo stesso tempo ne è sedotta proprio per gli elementi caratteriali di arbitrarieta, etica della falsificazione, cinismo, personalita manipolatoria, ma anche carisma che lo porta a organizzare falsi scoop perche “al cinema funzionano le bugie, non la verita”. E così tutte le scene che sullo schermo jacopettiano risulterebbero sensazionali, grazie alla manipolazione di inquadrature, montaggio,voice over (i trucchi seduttivi di tutto il cinema) in “l’occhio selvaggio” si rivelano per quel che sono veramente; un senso di vuoto, di “assenza”, di…verità. Esemplare la scena in cui il regista interrompe una fucilazione per chiedere di mettere il condannato più a favore di luce. Cosi come anche le riprese di battaglia in Viet Nam, che non son altro che fredde esibizioni di morte, senza succulenza. “Non esistono film belli o brutti, esistono quei 500 metri di pellicola sensazionali che salvano dei restanti di noia”. “ho scelto di stare coi padroni”. Ecco l’etica del protagonista, per cui tutti noi siamo cose, lui compreso. Ma sbaglieremmo nell’immaginare che siamo davanti al ritratto di un mostro tout court; le sfumature, sebbene suggerite, ci sono eccome. Solo che il regista dei mondo movies, non senza qualche sforzo, riesce a digerirle in nome del “continua a girare”. Nella scena finale si vede tutta la sua paura. E forse la scena migliore, assieme a quella del finto recluso nel villaggio degli spiriti, per cui si inventa su due piedi tutta una sceneggiata con ingestione di farfalle compresa. Il finale, in cui la piccola troupe è in attesa che esploda una bomba in un club, è un piccolo capolavoro di montaggio alternato di silenzi, rumore, esterni e interni. Una suspence quasi alla Hellmann. E dove il protagonista dimostra di aver paura. Il film è formalmente curatissimo: scritto assieme a Ugo Pirro, Tonino Guerra e Alberto Moravia. Musiche di Gianni Marchetti (che fanno il verso ai commenti sonori dei mondo movies) fotografia di Masciocchi. Si apre con una scena nel deserto che è la sintesi della mente diabolica del regista. Cavara realizza il suo film migliore, forse un po’ chiuso nella sua struttura a episodi e non sempre impeccabile nel racconto d’amore (ma quante verità escono da quei dialoghi…), però di buonissima qualità e vincente proprio nella scelta di raccontare la vita di un nichilista cinico, ignoto a sè stesso, usando esattamente il linguaggio opposto. Probabilmente il miglior Leroy di sempre, molto aderente a Jacopetti, anche lui nichilista e tombeur des femmes rapace ed egocentrico.
Visibile su Prime Video.
Devi fare login per commentare
Accedi