Cinema

I film che tua madre non ha mai visto (e forse neppure tu): Stan Brakhage

5 Agosto 2022

I FILM CHE TUA MADRE NON HA MAI VISTO (E FORSE NEANCHE TU)

2)”THE ACT OF SEEING WITH ONE’S OWN EYES” (1971, Stan Brakhage)

TRAMA: riprese di autopsia all’obitorio di Pittsburgh

RECENSIONE: teniamo conto del film che ho presentato ieri in questa mia carrellata di film che mammà di certo non ha visto. In “2000 maniacs” abbiamo una narrazione classica, addirittura parodistica di un altro film e attorno ai momenti di climax, le morti cruente sadicamente preparate e riprese, si fa concentrare l’attenzione dello spettatore che paga per vedere il teatro delle crudeltà. In questo documentario, che poi documentario non è, Brakhage mostra centomila cose di più del sangue di vernice di Gordon Lewis. Siamo in un obitorio e le scomposizioni dei cadaveri sono riprese al millimetro. Apertura, evisceramento, scalottamento cranico, sezioni cerebrali. Ma com’è che, superato lo sconcerto iniziale alla fine la morbosità cede il passo a una melanconica suggestione? La risposta è proprio nell’occhio del regista. Il titolo è la definizione che si usava nella Grecia antica per definire l’autopsia. Il film, in pratica, si chiama “Autopsia” e tale è il contenuto. Cosa interessa a Brakhage, cosa lo affascina? Non certo lo sgomento che lo spettatore può provare nel mostrare a noi vivi l’indifferenza di un cadavere e dei chirurghi che lo sezionano. Che c’è, si badi bene. Alla fin fine quello siamo, parti di un complesso che una lama può dividere e che si possono persino gettare nelle immondizie. Il discorso della morte esiste eccome ma è un riflesso. Chi conosce i film di questo originale e curioso filmmaker, maestro di indipendenza, eterno bambino stupefatto dalla Luce, sa che ciò che a Brakhage colpisce sono gli accostamenti di organi e le rifrazioni luminose, i movimenti involontari delle membra che vengoso mosse, separate e le luci che cambiano su un corpo ormai oggettificato, non vivente, privo della caratteristica che sembra separare noi vivi dalle Ombre ma a cui in realtà gli uomini sono legati indissolubilmente. Noi siamo quei cadaveri, lo saremo. Potremmo essere oggetti rifrangenti in una carosello di membra che viste in maniera ravvicinata perdono il loro nome e diventano danze di luci in movimento. L’esatto contrario dell’immobilità di un morto. Brakhage pare trovare vita laddove vita non c’è più,, grazie all’incindentalità di luci nel mondo delle Ombre. Verrebbe da chiedersi perché tanta indifferenza nei confronti di persone che son morte ma erano vive, da parte del regista. Ma è un fatto chiamato “L’atto di vedere con il prorio paio d’occhi”. Vedere è una posizione di privilegio consentita a ogni spettatore. Lo spettacolo, che l’etimologia fa coincidere storicamente coi giochi circensi romani. Ma qui la dimensione viene mortificata, si arriva a esasperare ciò che sarebbe massimamente orrido ma, grazie allo sguardo di Brakhage l’orrido lascia il posto alla contemplazione e a profondità che un corpo vivo e chiuso mai farebbe sospettare di possedere. In un certo senso Brakhage “ruba l’anima alle persone>”

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