Cinema

Ho visto Inside Out e, dopo mezz’ora di grandi aspettative, mi sono annoiata

27 Settembre 2015

La trama di Inside Out è presto detta: la famiglia di Riley, undicenne del Minnesota, si trasferisce a San Francisco per esigenze lavorative del padre. Il trasloco si rivela un prevedibile trauma per Riley, costretta suo malgrado a lasciare la casa dove è nata, l’amica del cuore e l’amatissima squadra di hockey in cui gioca da quando è bambina, “I cani della prateria”.

Tradotto nel linguaggio del nuovo film Pixar, la trama suonerebbe più o meno così: il trasloco a San Francisco, dopo un momento iniziale di Gioia, genera nella mente (mente eh, non cuore, siamo lontani dalle emozioni come le intendevano alla Disney) di Riley un mix di Rabbia e Disgusto a causa del temporaneo “spegnimento” delle Isole della Personalità, dovuto alla manipolazione dei Ricordi Base da parte di Tristezza.

A questo punto la vicenda si sposta tutta sul piano “Inside” e qui, almeno per me, inizia a insinuarsi uno Stato d’Animo che da molti è considerato più intollerabile del dolore: la Noia (grande assente del film).

Gioia e Tristezza compiono un rocambolesco viaggio tra i labirintici scaffali della Memoria a Lungo Termine, s’imbattono nel pericoloso Pensiero astratto e s’inabissano nei bassifondi della vita interiore di Riley, cercando invano di penetrare il Subconscio (dove l’immancabile clown tiene imprigionato Bing Bong, l’amico immaginario dell’infanzia di Riley, in una gabbia di palloncini colorati) e di modificare la programmazione della Cineproduzione Sogni. Grazie al sacrificio di Bing Bong, che accetta di condannarsi all’Oblio, e alla determinazione di Gioia, i Ricordi Base si avviano a tornare al loro posto. Nel frattempo Riley, sobillata dalle emozioni “minori”, Rabbia e Disgusto, prive di lungimiranza e di ratio, tenta di tornare in Minnesota all’insaputa della famiglia, convinta di poter ritrovare ciò che ha lasciato, ma l’intervento provvidenziale di Tristezza la riporta sulla retta via.

Morale della favola: Gioia e Tristezza sono indispensabili l’una all’altra; Gioia, senza Tristezza, non ha gli strumenti per prescrivere una sosta (la riflessione) o un cambio di direzione (il ripensamento), è un instancabile pungolo verso il futuro, una cieca volontà di andare oltre gli ostacoli; Tristezza, senza Gioia, è solo un’erudita lacrima blu, piena di strumenti raziocinanti, ma incapace di muovere alcunché, in quanto priva del necessario afflato vitale. Rabbia, Disgusto e Paura all’occorrenza sono provvidenziali, ma se lasciati soli al comando non portano a nulla di buono.

I critici più intellettuali, forse, non provavano una simile soddisfazione dai tempi di Fantasia, e molti, all’uscita dalla sala, si sentiranno più intelligenti e decisamente appagati da un prodotto che trova nei riferimenti filosofici la ragione per guardare tutti un po’ dall’alto. Ma una morale edificante, un’ottima idea e un’animazione di alto – altissimo – livello fanno davvero una bellissima storia? Dove sono finiti i fatti, quelli che rendono interessante una storia? Abbiamo imparato a distinguerli dalle opinioni, ma non abbiamo ben capito in che modo conferiscano azione al film. La trama c’è, ma, dopo la prima mezz’ora, s’inabissa in un lunga – lunghissima – corsa in cui gli aiutanti buoni della protagonista cercano di salvare i suoi preziosi tesori interiori e di riportare la storia al punto di partenza.

Al di là degli immancabili dubbi sulla comprensibilità della vicenda da parte dei destinatari naturali di un cartoon, i bambini, qualcuno pensi anche ai grandi, che, già quotidianamente assillati dal Pensiero Astratto e dalle molestie del Subconscio, quando vedono un film Pixar, vogliono anche divertirsi.

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