Cinema
Guida ai Premi Oscar 2016
Il 14 gennaio sono state diffuse le candidature per ogni categoria degli Academy Awards, i cui vincitori saranno annunciati nella cerimonia di premiazione, l’88esima, che sarà presentata da Chris Rock e si terrà il 28 febbraio presso il Kodak Theatre di Los Angeles.
Un breve ripasso
L’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences fu fondata nel 1927 con l’obiettivo di promuovere il progresso dell’industria cinematografica. Dal 1929 ha assegnato premi al merito nei diversi campi del cinema, gli Academy Awards: il nome Oscar cominciò a essere usato da quando, secondo una delle storie più accreditate, Margaret Herrick, direttrice dell’Academy dal 1943 al 1971, affermò che la statuetta le ricordava suo zio Oscar.
Non sono noti i nomi degli oltre 6000 membri dell’Academy: si può diventare membri solo se invitati dal Board of Governor, l’organo di direzione dell’Academy, formato da 51 esperti di cinema, divisi per disciplina. L’attuale presidente del Board of Governor è Cheryl Boone Isaacs, che si è occupata negli anni di film marketing per Paramount Pictures e New Line Cinema, mentre il vicepresidente è John Lasseter, fondatore della Pixar: tra i 51 del Board ci sono gli attori Tom Hanks, Ed Begley Jr., Annette Bening ed è presente anche un italiano, il direttore della fotografia Dante Spinotti.
Come si vota
In una prima fase, solo i professionisti di ogni settore votano per quelli che saranno i film nominati nella categoria di loro competenza. Quindi, per esempio, tutti coloro che sul set si occupano della fotografia (i direttori della fotografia, gli operatori, i fuochisti e così via) sceglieranno i cinque film candidati all’Oscar come miglior fotografia. Eccezioni in questa prima fase sono le categorie miglior film, miglior film d’animazione e miglior film straniero, le cui nomination invece sono determinate dal voto di tutti i membri dell’Academy.
A questo punto ci sono 5 film candidati in ogni categoria e da 5 a 10 candidati come miglior film. In questa seconda fase, tutti i membri dell’Academy votano per tutte le categorie e vince il film che ha ottenuto più voti degli altri (anche un solo voto in più: per chi è appassionato di sistemi elettorali, è un sistema uninominale maggioritario a turno unico, il first past the post).
Fa eccezione la categoria miglior film: nel 2011 infatti l’Academy ha riformato il sistema elettorale per questa categoria, passando dal first past the post all’instant runoff, il voto alternativo. In breve: i membri dell’Academy non mettono più una crocetta vicino al nome del film che gli è piaciuto di più, ma stilano una classifica in ordine di gradimento. Se il film che ha ottenuto più voti come primo raggiunge il 50%+1 dei voti, si aggiudica la statuetta. Altrimenti si cancellano i voti del film che ha ottenuto meno voti come primo e si considera la seconda preferenza di chi l’aveva votato: si continua così finché uno dei film candidati non ottiene la maggioranza assoluta. Come spiega Vox, questo sistema avvantaggia i film che sono piaciuti al pubblico più ampio possibile, ma svantaggia film più impegnativi e divisivi.
Sono i voti degli oltre 6000 membri dell’Academy a decidere quali film si meriteranno un Oscar: ecco quindi una lista non di chi vincerà (per quello ci sono i bookmaker e Nate Silver), ma di chi avrei votato io se fossi dell’Academy, e perché.
Miglior trucco e acconciatura
Love Larson ed Eva von Bahr trasformano Robert Gustafsson ne Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve: il loro lavoro rende credibile ogni fase della sua vita mostrata nel film (quest’immagine dal Los Angeles Times rende bene l’idea) e riporta in vita personaggi storici come Franco, Stalin e Truman. Siân Grigg, Duncan Jarman e Robert Pandini sono parte della squadra che si è occupata del make-up e delle acconciature per The Revenant: Pandini ha gestito il dipartimento delle acconciature, mentre Grigg e Jaman, il che rende anche l’idea di quanto questo film sia stato curato in ogni minimo particolare, sono accreditati come “personal make-up artist and prosthetic make-up effects for Leonardo DiCaprio“, cioè si sono occupati esclusivamente di DiCaprio, facendo un lavoro eccezionale. DiCaprio conobbe Siân Grigg sul set di Titanic e da quel momento è stata in ogni film la sua make-up artist personale: non a caso l’ha anche ringraziata nel suo discorso per la vittoria del Golden Globe. L’Oscar però lo meritano Lesley Vanderwalt, Elka Wardega e Damian Martin per Mad Max: Fury Road: se Immortan Joe, i Figli di Guerra e Coma-Doof Warrior sono così inquietanti è merito loro. Per non parlare dell’Imperatrice Furiosa.
Migliori costumi
Sandy Powell, da qualche anno costumista di fiducia di Martin Scorsese (ha disegnato i costumi di 5 degli ultimi suoi 6 film) e già tre volte Premio Oscar (nel 1999 per Shakespeare in Love, nel 2005 per The Aviator e nel 2010 per The Young Victoria), quest’anno è candidata per la dodicesima volta, per il lavoro in due film: Carol e Cenerentola. Jenny Beavan è alla sua ottava candidatura (una vittoria, nel 1987 per Camera con vista) con Mad Max: Fury Road. Ottimo lavoro anche quello di Jacqueline West per The Revenant, ma voterei Paco Delgado per The Danish Girl. I costumi svolgono un ruolo importante nel film, anche simbolico (pensate, per esempio, alla camicia da notte di Gerda o alla sciarpa che le regala Lili) come spiegato bene da Il Post.
Miglior montaggio sonoro
Il montaggio sonoro (sound editing) è il processo con cui si creano i suoni, si registrano gli effetti sonori e i rumori di sottofondo, mentre il mixaggio sonoro (sound mixing) è il modo in cui si mettono insieme questi elementi, i dialoghi e la colonna sonora. Per esempio quindi, Mark Mangini e David White per Mad Max: Fury Road hanno inventato il rumore particolare che fa la maschera di Immortan Joe e caratterizzato con suoni diversi ogni veicolo, Oliver Tarney ha creato i suoni dell’Hab di The Martian e reso il respiro di Matt Damon quando indossa il suo caso da astronauta quanto più ansiogeno possibile, Martin Hernandez (alla sua seconda nomination dopo quella per Birdman l’anno scorso) e Lon Bender (tre nomination e una vittoria, Bravehart) hanno fatto un pregevole lavoro per The Revenant, creando un suono impressionante per la pelle di DiCaprio lacerata dall’orso e tra le altre cose girando il Colorado per registrare il suono della neve. Premierei Matthew Wood e David Accord per Star Wars: The Force Awakens. Questa loro intervista è molto interessante per capire come lavorano i sound editor: una delle cose curiose che rivelano è che per ottenere il rumore animalesco della Forza quando è utilizzata da Kylo Ren hanno registrato il gatto di Accord mentre faceva le fusa, e dopo hanno digitalmente modificato il suono. I due, oltre ad avere lavorato al sound editing, hanno anche prestato la loro voce per la saga di Star Wars: Wood è la voce del Generale Grievous (La vendetta dei Sith), Accord quella dello stromtrooper più famoso de Il Risveglio della Forza, FN-2199, conosciuto anche come TR-8R e diventato un meme.
Miglior sonoro
Chi si occupa di sound mixing deve bilanciare tutti i canali dell’audio e scegliere quali privilegiare: si può enfatizzare una scena aumentando il volume del canale della musica oppure trasmettere ansia aumentando il volume del canale in cui è registrato il respiro dell’attore, per esempio. Per quanto mi riguarda, qui comincio a essere indeciso: di The Martian ho apprezzato moltissimo la sequenza con Starman di Bowie in sottofondo (guardatela e provate a immaginare che lavoro eccezionale hanno fatto al sound mixing); in Mad Max: Fury Road ci sono lunghissime sequenze di inseguimenti in cui sono bilanciati alla perfezione rumori di sottofondo, suoni dei veicoli, la chitarra di Coma-Doof Warrior, i dialoghi e non ultima la colonna sonora; discorso simile per Star Wars: The Force Awakens, con l’aggiunta di duelli con spade laser, X-Wing, il Millennium Falcon, alieni e le musiche di Williams. Voterei The Revenant perché Jon Taylor, Frank Montaño, Randy Thom e Chris Duesterdie sono riusciti a trasportare lo spettatore all’interno del film.
Migliori effetti speciali
Stupisce l’assenza di The Walk, che non ce l’ha fatta a ottenere una nomination, ma questa negli anni è diventata una categoria molto competitiva. Cominciamo da Star Wars: The Force Awakens. Un ritorno alle origini dopo i tanto criticati effetti speciali della nuova trilogia, e si deve al lavoro delle squadre coordinate da Chris Corbould (3 nomination e Oscar per Inception), Roger Guyett (4 nomination), Paul Kavanagh (che aveva lavorato anche alle animazioni nella nuova trilogia e ottenuto 1 nomination per Star Trek, diretto proprio da J.J. Abrams) e Neal Scanlan (premio Oscar per gli effetti speciali di Babe). Degni di nota anche gli effetti speciali di Andrew Jackson, Dan Oliver, Andy Williams e Tom Wood per Mad Max: Fury Road. Voterei però The Revenant: la scena già diventata iconica in cui Hugh Glass viene attaccato dall’orso è talmente realistica che si stenta a credere sia in CGI. E se si ottiene un effetto del genere, la statuetta è più che meritata.
Miglior canzone
Writing’s on the Wall, cantata da Sam Smith, è la canzone del 24esimo film della serie di James Bond, Spectre. Earned it è la canzone di 50 sfumature di grigio ed è cantata da The Weeknd. Til it happens to you è la canzone che probabilmente vincerà questa categoria: è cantata da Lady Gaga e scritta da lei con Diane Warren, regista del documentario da cui la canzone è tratta, The Hunting Ground, che parla delle violenze sessuali che avvengono nei campus delle università statunitensi. La canzone Simple song #3 è cantata dal soprano Sumi Jo e composta da David Lang: nel film The Youth da cui è tratta è una delle “Canzoni Semplici“ del compositore e direttore d’orchestra Fred Ballinger, interpretato da Michael Caine. La mia preferita di questa cinquina è Manta Ray, di J. Ralph e Antony per il documentario Racing Extinctions di Louie Psihoyos, che affronta il tema delle estinzioni causate dall’uomo.
Miglior colonna sonora
Jóhann Jóhannsson è alla sua seconda nomination con Sicario dopo quella dell’anno scorso per la Teoria del Tutto. Ottimo anche il lavoro di Thomas Newman per Il Ponte delle Spie, che con questa arriva a 13 nomination (di cui una per miglior canzone, Down to Earth, che scrisse con Peter Gabriel per WALL•E). L’inconfondibile musica di John Williams (la persona vivente con più nomination agli Oscar nella storia, 50) è parte integrante di Star Wars: The Force Awakens, con alcuni nuovi temi (“March of the Resistance“, “Ray’s Theme“, “Jedi Steps“) che hanno contribuito a rendere epico il ritorno della saga al cinema. Pare che, con la colonna sonora di The Hateful Eight, questa sia la volta di Ennio Morricone, che l’avrebbe meritato in tante altre occasioni e che nel 2007 vinse il Premio Oscar onorario per i suoi “magnifici e multiformi contributi all’arte della film music”. Il Maestro ha scritto oltre 500 colonne sonore, tra le più belle della storia del cinema e tutte indimenticabili (per dirne tre: Mission, C’era una volta in America, C’era una volta il west), ma quest’anno mi ha particolarmente colpito la colonna sonora di Carol, composta da Carter Burwell.
Miglior cortometraggio d’animazione
Sanjay’s Super Team è prodotto dalla Pixar ed è ispirato all’infanzia del regista, Sanjay Patel, influenzata dalla cultura e dalle tradizioni indù della sua famiglia. Prologue è ambientato nell’antica Grecia, nel periodo delle guerre del Peloponneso, ed è diretto da Richard Williams, direttore dell’animazione di Chi ha incastrato Roger Rabbit?. World of Tomorrow è diretto da Don Hertzfeldt ed è una storia fantascientifica in cui una bambina, Emily, viene contattata da un suo clone di terza generazione. Bear Story è diretto dal cileno Gabriel Osorio Vargas: un orso racconta la storia della sua vita con l’aiuto di un diorama meccanico. Il film presenta anche una critica al circo e alle condizioni degli animali che vi sono detenuti. We can’t live without cosmos, che voto, è diretto dal regista russo Konstantin Brozit: è la storia dell’amicizia tra due astronauti.
Miglior cortometraggio
Ave Maria è diretto da Basil Khalil: è la storia di una famiglia di coloni israeliani che, a seguito di un guasto alla macchina in Cisgiordania, chiedono l’aiuto di cinque suore per tornare a casa. Day One è diretto da Henry Hughes: è ispirato a una storia vera ed è la storia di un’interprete dell’esercito degli Stati Uniti che al suo primo giorno di lavoro si troverà a dover far partorire la moglie di un nemico costruttore di bombe. Everything Will Be Okay è un cortometraggio tedesco diretto da Patrick Vollrath su un viaggio di un padre divorziato e sua figlia. Shok è diretto da Amar Dushi: è ambientato durante la guerra del Kosovo e racconta l’amicizia di due ragazzi che vendono sigarette ai soldati serbi. La storia è ispirata a esperienze di vita di Eshref Durmishi, che ha prodotto il film, nel quale ha anche un ruolo. Stutterer è diretto da Benjamin Cleary e narra di un tipografo che deve superare il suo difetto di pronuncia per incontrare una ragazza conosciuta online.
Miglior cortometraggio documentario
Body Team 12 di David Darg e Bryn Mooser è un documentario sui membri della Croce Rossa che in Liberia erano incaricati di raccogliere i cadaveri durante la recente epidemia ebola. Chau, Beyond the Lines di Courtney Marsh e Jerry Franck racconta la vita di un 16enne vietnamita che è disabile a causa degli effetti dell’Agente Arancio, il defoliante che fu irrorato in Vietnam del Sud dall’esercito statunitense durante la guerra del Vietnam. Claude Lanzmann: Spectres of the Shoah di Adam Benzine esplora la vita e il lavoro di Claude Lanzmann, regista noto per il documentario Shoah del 1985, che nel 2015 è stato inserito dal BFI al secondo posto nella lista dei “50 migliori documentari della storia”. A Girl in the River: The Price of Forgiveness di Sharmeen Obaid-Chinoy è la storia di una ragazza pakistana che sopravvive al tentato omicidio d’onore da parte degli abitanti del suo villaggio. Last Day of Freedom di Dee Hibbert-Jones e Nomi Talisman è la storia di Bill Babbit e suo fratello Manny che rischia la sedia elettrica.
Miglior documentario
Amy, di Asif Kapadia, ripercorre la vita e la morte di Amy Winehouse, ed è lanciato verso la vittoria. Cartel Land di Matthew Heineman segue la Guerra della Droga messicana e i gruppi di vigilanti che combattono i cartelli della droga. The Look of Silence di Joshua Oppenheimer completa quanto iniziato dal regista con The Act of Killing e mostra l’incontro di un uomo indonesiano che è sopravvissuto al genocidio del 1965 con gli uomini che uccisero uno dei suoi fratelli. Il film di Liz Garbus, What Happened, Miss Simone?, è stato distribuito su Netflix e racconta la vita della cantante Nina Simone e la sua battaglia per l’uguaglianza. Winter on Fire: Ukraine’s Fight for Freedom di Evgeny Afineevsky è il racconto delle dimostrazioni studentesche a favore di una maggiore integrazione nell’Unione Europea che si sono trasformate nella violenta rivoluzione del 2013 e 2014.
Miglior film d’animazione
La Pixar ha ottime possibilità di vittoria con Inside Out, candidato anche al premio per la migliore sceneggiatura. Anomalisa, ha vinto il Leone d’Argento a Venezia: è un film in stop-motion ed è stato scritto da Charlie Kaufman, apprezzato sceneggiatore che ha scritto, tra le altre cose, Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee ed Eternal sunshine of the spotless mind, che gli valse anche un Oscar come migliore sceneggiatura originale nel 2005. Il bambino che scoprì il mondo è un film brasiliano di Alê Abreu prodotto da Film de Papel. Quando c’era Marnie è un film prodotto dallo Studio Ghibli, la storica casa di produzione fondata da Hayao Miyazaki. Shaun, vita da pecora è tratto dalla serie televisiva Shaun the Sheep. È prodotto dallo studio d’animazione britannico Aardman Animations, famoso per la tecnica del “claymotion”, ossia l’utilizzo della plastilina (“clay”, argilla) nello stop-motion: con questa tecnica lo studio ha prodotto anche Galline in Fuga e Wallace e Gromit, che vinse l’Oscar nel 2006.
Miglior film straniero
Scontata la vittoria del film ungherese Son of Saul (Saul fia), di László Nemes, che ha vinto il Grand Prix a Cannes. Potrebbe avere qualche possibilità il francese Mustang, la storia di cinque sorelle orfane diretta dalla regista Deniz Gamze Ergüven. Il regista Ciro Guerra ha girato il film colombiano El abrazo de la serpiente: racconta la storia di due scienziati che nel 1909 e nel 1940 sono alla ricerca di una pianta sacra accompagnati da uno sciamano amazzone, ultimo sopravvissuto della sua tribù. La storia è basata sui diari dei due scienziati. Il danese A War (Krigen), regia di Tobias Lindholm, è la storia di una compagnia militare danese in Afghanistan e del comandante accusato di aver commesso un crimine di guerra. Chiude la cinquina il film giordano Theeb, dal nome del giovane beduino che nel 1916, all’inizio della Rivolta Araba, si trova a dover sopravvivere nel Wadi Rum.
Miglior montaggio
La mia categoria preferita. Il montaggio è una parte fondamentale del film e cambiare la collocazione di una sola scena può cambiare il significato dell’intero film: guardate Hitchcock che spiega l’effetto Kulešov per averne un’idea. È il montaggio a determinare il ritmo della narrazione. Maryann Brandon e Mary Jo Markey lavorano con J.J. Abrams dai tempi di Alias e ovviamente hanno accettato di lavorare anche a Star Wars: The Force Awakens: hanno avuto un ruolo molto attivo e hanno addirittura segnalato al regista quando qualche scena non funzionava, permettendogli di rigirarla. Il lavoro di Tom McArdle per Spotlight è stato molto pulito e praticamente impeccabile: molto belle in particolare la sequenza di “Silent Night” e quella in cui Michael Rezendes (Mark Ruffalo) ottiene i verbali del processo del 1999, corre verso la sede del Boston Globe e in sottofondo si sente la sua voce leggere le lettere. Margaret Sixel è la moglie di George Miller e sua montatrice di fiducia: per Mad Max: Fury Road ha dovuto lavorare su 470 ore di girato, creando un film d’azione eccezionale. Potrebbe vincere. Stephen Mirrione è alla quinta collaborazione con Iñárritu e in un’interessante intervista ha detto di aver imparato molto da Birdman: il montaggio di The Revenant è notevole nonostante non fosse un film facile da montare. Il montaggio migliore a mio parere è quello de La grande scommessa: Hank Corwin (che ha lavorato con Oliver Stone, Robert Redford e Terrence Malick) riesce a trasmettere egregiamente allo spettatore il ritmo frenetico del film.
Miglior scenografia
Altra categoria che sarà particolarmente combattuta. Adam Stockhausen ha vinto l’Oscar l’anno scorso per la progettazione della scenografia di Grand Budapest Hotel, quest’anno ha fatto un bellissimo lavoro per Il Ponte delle Spie, con le decorazioni di Rena DeAngelo e Bernhard Henrich: i tribunali, le case, le prigioni, Berlino Est, Brooklyn sono tutti set incredibili. Incredibili anche i set di The Martian, di Arthur Max (progettazione) e Celia Bobak (decorazione), mozzafiato quelli di The Revenant, di Jack Fisk (progettazione) e Hamish Purdy (decorazione), e di Mad Max: Fury Road, di Colin Gibson (progettazione) e Lisa Thompson (decorazione). Ma voterei senza ombra di dubbio The Danish Girl, i cui set sono stati progettati da Eve Stewart e decorati da Michael Standish. Il film è un capolavoro visivo e merita senza alcun dubbio quest’Oscar.
Miglior fotografia
C’è un film girato in 16mm e uno in 70mm (per un ripasso sulle forme e i formati dei film, Il Post è impeccabile come sempre). Il primo è Carol: il direttore della fotografia Ed Lachman voleva ricreare l’atmosfera di un’altra epoca. Un’altra scelta molto riuscita è quella di creare delle inquadrature che attraversino le finestre e i riflessi per trasmettere lo stato emotivo dei personaggi. Il secondo è The Hateful Eight: dietro la scelta di Tarantino e del direttore della fotografia Robert Richardson c’è l’intenzione di recuperare un formato che regala un’esperienza trascendente. Roger Deakins, collaboratore di fiducia dei fratelli Coen, è alla sua tredicesima nomination per l’ottimo lavoro in Sicario. La fotografia di John Seale in Mad Max: Fury Road trasporta lo spettatore nel deserto australiano e fa percepire il caldo torrido. Ma anche quest’anno, per la terza volta di fila dopo Gravity e Birdman, il premio va assolutamente a Emmanuel Lubezki, “El Chivo”, per The Revenant. Per rendere il film quanto più immersivo possibile, Lubezki ha usato solamente la luce naturale: se da un lato poteva essere un problema perché la luce cambiava costantemente, dall’altro ha enfatizzato la costante trasformazione della natura, uno dei temi principali del film.
Miglior sceneggiatura non originale
Stupisce l’assenza di Aaron Sorkin, che ha scritto la sceneggiatura di Steve Jobs adattata dall’omonimo libro di Walter Isaacson. Adam McKay e Charles Randolph riescono a rendere The Big Short comprensibile anche a chi non conosce il mondo della finanza, in particolare con la trovata dei tre spiegoni che intervallano il film. Emma Donoghue è la scrittrice del libro da cui è tratto Room e ha avuto il compito di adattarlo per il cinema: nella prima parte il film ha un ritmo incalzante, nella seconda in alcuni tratti il ritmo però è troppo lento. La sceneggiatura di Carol, di Phyllis Nagy, è molto ben fatta, a parte forse alcuni dialoghi un po’ inconsistenti. Drew Goddard scrive la sceneggiatura di The Martian, che è un film molto scontato. A questo punto, mi auguro che il premio vada a Nick Hornby per Brooklyn. Lo scrittore inglese, alla sua quarta sceneggiatura per il cinema, ha dovuto costruire il personaggio di Jim Farrell, che nel libro era presente solo verso la fine. Inoltre rende molto bene la “trasformazione” di Eilis da ragazza ingenua a ragazza di New York, riassunta nelle due scene sulla nave (la prima verso l’inizio e la seconda alla fine).
Miglior sceneggiatura originale
Straight outta Compton (Andrea Berloff, Jonathan Herman, S. Leigh Savidge e Alan Wenkus) ha alcuni momenti convincenti e molto potenti, ma non è il genere di sceneggiatura che l’Academy apprezza. Spotlight è scritto da Tom McCarthy e Josh Singer ed è tratto da una storia vera: l’assenza di complessità nei personaggi mi ha fatto pensare si potesse fare meglio. L’idea alla base di Inside Out, sceneggiatura di Pete Docter, Meg LeFauve, Josh Cooley e Ronnie del Carmen, è assolutamente geniale e meriterebbe la statuetta. La sceneggiatura de Il Ponte delle Spie è scritta da Matt Charman e Joel ed Ethan Coen: la scrittura è fluida e alcuni dialoghi sono brillanti. Ma voto Ex Machina di Alex Garland: viene sviluppato bene il conflitto etico sulle intelligenze artificiali, mantenendo grande tensione durante tutto il film. Come se non bastasse, ci sono anche dei colpi di scena degni di questo nome: uno dei migliori film dell’anno.
Miglior attrice non protagonista
Categoria molto competitiva, scelta molto difficile. Kate Winslet è fantastica nel portare a termine l’arduo compito di essere la comprimaria di un Michael Fassbender spettacolare in Steve Jobs. La performance di Jennifer Jason Leigh in The Hateful Eight è di altissimo livello, ma sono indeciso tra le due attrici che secondo me sarebbero dovute essere nella categoria attrice protagonista: Alicia Vikander in The Danish Girl e Rooney Mara in Carol. Sono eccezionali e in un certo verso interpretano personaggi simili: entrambe “subiscono” la scelta della persona che amano. Scelgo la prima, perché riesce a far risultare credibili tutte le diverse emozioni che prova il personaggio che interpreta.
Miglior attore non protagonista
Un ottimo Tom Hardy in The Revenant, ma l’Oscar è conteso tra Mark Rylance, che ne Il Ponte delle Spie interpreta la spia russa Rudolf Abel, e Sylvester Stallone, che in Creed torna con il suo Rocky Balboa. La performance di Rylance è notevole, ma voto Sly, che è riuscito a dare un nuovo spessore al personaggio di Rocky. E poi vedere un’altra volta una scena così sarebbe impagabile.
Miglior attrice protagonista
Partiamo da una premessa: avrei assegnato anche questa categoria ad Alicia Vikander, se solo fosse stata candidata con Ex Machina. Cate Blanchett in Carol è formidabile come ci ha abituato, ma nello stesso film ho trovato addirittura migliore Rooney Mara. Ottima Saoirse Ronan (si pronuncia così, se ve lo stavate chiedendo) in Brooklyn, ma voto Brie Larson per Room: per prepararsi al suo ruolo è rimasta in casa per un mese e, oltre a incontrare psicologi per capire a fondo la condizione della prigionia, ha scritto dei diari fittizi del suo personaggio all’età di 10, 14 e 17 anni. Ne è venuta fuori una performance molto intensa, emotiva ed è riuscita a essere contemporaneamente una madre protettiva e forte e una donna fragile.
Miglior attore protagonista
Anche qui è necessaria una premessa: per gli Oscar alla carriera esiste una categoria apposita. La storia dell’Oscar a DiCaprio è diventata monotona: non si può assegnare un Oscar a un attore solo perché “non l’ha mai vinto”. Detto ciò, se fosse stato un altro anno, l’ottimo Michael Fassbender avrebbe avuto qualche speranza per la sua parte in Steve Jobs. Ma questo è indubbiamente l’anno di Leonardo DiCaprio, che è eccezionale nel ruolo di Hugh Glass, l’esploratore di The Revenant. Al di là delle cose assurde che ha dovuto fare per questo film, la sua grande capacità è stata quella di riuscire a coinvolgere emotivamente gli spettatori, portandoli a provare empatia per il suo personaggio.
Miglior regia
Mi dispiace molto sia assente da questa categoria Danny Boyle, che in Steve Jobs ha fatto un lavoro fenomenale. Iñarritu ha diretto The Revenant ed è il favorito per la vittoria di questo premio: sarebbe il primo regista a vincerlo per due anni di fila, dopo il trionfo meritato per Birdman. Il regista messicano regala un’esperienza e afferma che il suo compito è di “rendere probabile l’improbabile”: ed è quello che fa in questo omaggio alle tradizioni del cinema, curato in ogni particolare. Tutte le inquadrature sono mozzafiato e Iñarritu dirige gli attori e la crew alla perfezione. Tom McCarthy sceglie di raccontare Spotlight soprattutto con totali e campi medi, legati alla perfezione: uno stile molto classico. Lenny Abrahmson con Room si dimostra un regista molto eclettico, superando la difficoltà di girare in un set molto piccolo. Adam McKay, tra l’altro fondatore con Will Ferrell del sito umoristico FunnyOrDie, rende La grande scommessa un film frenetico, folle. Non si fa problemi a rompere la quarta parete e si permette di utilizzare la musica come solo Martin Scorsese potrebbe fare, sempre rimanendo attento ai particolari. Ma CHE GIORNATA, CHE SPLENDIDA GIORNATA sarebbe se vincesse George Miller per Mad Max: Fury Road! Il regista australiano è un visionario e ha girato con audacia uno dei film d’azione meglio riusciti di sempre, rivoluzionando questo genere.
Miglior film
Quest’anno c’è meno qualità rispetto all’anno scorso. Oltretutto, sono un po’ insofferente per il fatto che Steve Jobs sia stato escluso da diverse cinquine, perché è quello che ritengo sia il miglior film dell’anno tra quelli candidati in tutte le categorie. The Revenant è la storia della ressurrezione di Hugh Glass e, come dice lo stesso regista, di come l’uomo diventi una bestia, un santo, un martire, uno spirito. Il Ponte delle Spie è un film molto classico, in cui si affronta il tema della giustizia e la storia di un uomo che crede questa non vada negata a nessuno. Room è una piacevole sorpresa: una storia dell’amore di una madre per suo figlio, della forza che un figlio riesce a dare alla propria madre, di prigionia, di fuga, del difficile ritorno alla vita di tutti i giorni. Brooklyn racconta le difficoltà che si incontrano nell’iniziare una nuova vita e della necessità di avere punti fermi. The Martian non è solo la storia di un astronauta che rimane da solo su Marte, ma anche della perseveranza e della voglia di vivere degli essere umani. Spotlight è una grande storia sul giornalismo, sull’etica e sul servizio pubblico che devono svolgere i giornali. Mad Max: Fury Road è un film d’azione che ha cambiato i connotati di questo genere, un film di cui sentiremo parlare per molto tempo. La Grande Scommessa per me è il miglior film dell’anno: una storia sul mondo della finanza e dell’etica che esiste anche in questo mondo, di come è nata una delle più grandi crisi della storia e di come i responsabili l’hanno fatta franca.
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