Cinema
Gli occhi della ragazza del fiume della Luna
“Fiume della Luna, più largo di un miglio, un giorno ti attraverserò, con eleganza. Creatore di sogni e di cuori spezzati, ovunque tu vada, io vengo con te. Due vagabondi in giro per il mondo, ce n’è tanto da vedere, alla comune ricerca della fine dell’arcobaleno. Aspettando, dietro la curva, il mio amico Huckleberry, io ed il Fiume della Luna”. Sono parole piene di simboli e nostalgia, il canto di una bambina ferita, impersonata da Audrey Hepburn che, nel 1961, nel ruolo della call-girl creato da Truman Capote, rende romantica e commovente anche la storia di una ragazza che si è persa per strada prima di diventare donna.
Audrey Hepburn ha 32 anni, da tre mesi è diventata mamma, dopo una prima gravidanza finita con una caduta da cavallo ed atroci sofferenze. È un’icona del cinema mondiale, e dopo una serie di film in cui è quasi un’adolescente (straordinaria in “Vacanze Romane” con Gregory Peck e poi in un musical con Fred Astaire), ora dimostra di essere una donna, e non perde nulla del suo candore e della sua gioia di vivere. In un ruolo che Marilyn Monroe aveva rifiutato, perché non voleva peggiorare la sua cattiva reputazione, e che invece quella giovane olandese ha trasformato nell’immagine eterna di sé stessa, del proprio stile, della propria malinconia.
Dalla fine della guerra sono passati pochi anni. Nel 1944, in un’Olanda devastata dai bombardamenti e dall’occupazione nazista, a nemmeno due chilometri dalla casa in cui si nascondeva Anna Frank, Audrey viveva sola con la mamma, e moriva di fame, tant’è vero che è stata salvata dalla Croce Rossa, quando finalmente l’esercito alleato è entrato in Amsterdam. Il padre, fervente nazista, era scappato di casa con una donna giovane e faceva la spia in Inghilterra – un abbandono che ha segnato la vita di Audrey per sempre.
Quando, mille anni dopo, Mel Ferrer, marito dell’attrice, organizzò un incontro a sorpresa tra padre e figlia, l’attrice reagì in modo del tutto inatteso: divorzio e ritiro dalle scene, e poi un lavoro a tempo pieno per l’UNICEF, che l’occuperà per tutto il resto della sua vita. Ma quando quella ragazzina magrissima e dal sorriso insopportabilmente dolce, quella mattina di ottobre del 1960, alle cinque della mattina, gira la famosa scena in cui Ellie Golightly (Ellie che la da facilmente), con un croissant in mano, gli occhi spalancati coperti dagli occhiali da sole, guarda pietrificata i gioielli esposti nella vetrina di Tiffany’s, tutto questo non è ancora successo. La sua carriera sembra inarrestabile, e la sberla datale da Hollywood, che la candida ad otto oscar per il meraviglioso (e reazionario) film “My fair Lady” e non gliene lascia vincere nemmeno uno, non c’è ancora stata. La maturità non ha ancora ucciso i sogni.
Un milione di anni dopo racconterà alla TV francese che, improvvisamente, si è ricordata di non essere un’attrice, ma una ballerina che danzava per pagare il cibo della resistenza olandese, che era stata arrestata e picchiata dai nazisti, che leggendo Anna Frank aveva pianto ed aveva poi rifiutato di recitarne la vita, perché “faceva troppo male riaprire le pagine di quei ricordi dolorosi”. Una ragazzina abbandonata e con una fame da lupo, che ora è una donna ricca e famosa e può restituire, con ciò che ha da vivere, ciò che le è stato regalato per salvarla.
Il suo Huckleberry forse non l’ha mai incontrato, ma la fine dell’arcobaleno, ne sono certo, l’ha vista e vi ha trovato la pace meritata. Lei la ragazza stupenda del fiume sulla Luna.
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