Cinema
Il senso del comico di Nuti come pratica artistica
Del popolare temperamento toscano aveva tanto, ma si distingueva chiaramente per quella sua capacità di raggiungere una comicità universalmente apprezzata, velata appena di malinconia, dove il talento attingeva a piene mani da una personalità tanto brillante quanto significativa. Della “scuola toscana” adoperava il linguaggio e l’immediatezza delle battute, ma, al contrario di tanti suoi colleghi, si manteneva alla giusta distanza dallo spirito goliardico che muove l’ironia spensierata e giocherellona. Francesco Nuti pensava e rifletteva in splendida solitudine, pur essendo molto più “squilibrato” degli altri. Era il più folle di tutti. E questo lo irradiava di grandezza e ne faceva un ganzo della creatività. Si immergeva con naturalezza nella lucida pazzia del sogno, conferendo poesia ai suoi personaggi e perseguendo l’incanto dell’azione cinematografica al servizio dell’istinto, dell’emotività, del sentimento, doloroso o gioioso che fosse. Si era esibito sin da giovane, Francesco, scrivendosi anche i testi, mostrando un estro che si apriva alle risate per offrire in profondità la radice intimistica della sua peculiare comicità. Era sempre tenero, anche quando aveva raggiunto una maturità artistica ed esistenziale di tutto rispetto. Non cedeva mai ai “mestierismi” del caso per compiacere quella parte del pubblico educata alle furberie dei teatranti.
Lasciava che la sua arte venisse colta nella verità istintuale che la componeva, soprattutto quando i riferimenti alla sua vita reale si facevano evidenti. Consentiva alla fantasia, nella sua sfera realizzabile, la libertà di fare la differenza. Si affidava all’immaginazione del desiderio per riempire la sua sete di amore, conoscenza, avventura. E diventava sullo schermo un campione di biliardo non perché lo fosse o desiderasse esserlo nella realtà, ma per legittimare, semplicemente, il pretesto della sua favola, la sua storia infinita, la sua esilarante bugia d’autore. Il comico è quasi sempre una persona meticolosa, attenta ad alternare sapientemente il buffo e il tragico come se si trattasse di una mescolanza cromatica che dà il giusto colore alla risata, mantenendo neutro quello della lacrima: si rida pure, con gioia e liberazione, mentre si contempli la tristezza senza restarne impietositi e cogliendone l’armonia di fondo. Nuti raggiungeva l’esilarante dandosi retta, assecondando una pulsione che gli era propria e lo caratterizzava, andando dietro a una supposizione intuitiva che si evolveva in idea geniale. In lui l’amarezza non era un retrogusto, ma l’altra faccia della luna, il nascosto che emergeva con parsimonia, la timidezza che prendeva coraggio senza scadere nell’invadenza. Nuti avvertiva, come tutti coloro che si dànno un’arte per cogliere l’opportunità di esistere, che l’essenza delle vicende umane tutto sommato è lirica e che, spesso, il comico in superficie della vita intristisce lasciando un senso di vuoto e scoramento.
Era disabile dal 2006, in seguito a un ematoma cranico causato da un incidente domestico, tanto più grave in quanto versava già in condizioni fortemente penalizzanti. Seguì un periodo di angosciosa degenza, che lo ha separato definitivamente da una vita che ha consumato con pienezza, condotta da una vena allegra e attraversata dalla sofferenza, con momenti di vera gioia e altri di ansiosa preoccupazione, dove il successo ha fatto da magnifico preambolo a una parabola discendente, per fortuna più breve. Rimane, al di là dei fotogrammi e del palco scenico, la vicenda umana di un grande attore, a cui nessuno può negare un sentimento amorevole e riguardoso di apprezzamento. Per chi ha visto i suoi film e i suoi spettacoli resta ancora viva l’empatia che l’artista riusciva a creare attraverso la sua recitazione schietta, pulita, priva di ogni fronzolo che ne pregiudicasse la leggerezza. Il riso – sostiene Henri Bergson, nel suo saggio – cela sempre un pensiero nascosto di intesa, quasi di complicità, con altre persone che ridono, reali o immaginarie che siano. E sapendo che non vi sia nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano, ci teniamo stretti il ricordo di Francesco Nuti, convinti come siamo che egli si sia rivelato nella maniera più congeniale. Che fosse Caruso Pascoski (di padre polacco), o Willy Signori (e vengo da lontano), ha sempre dato un segno tangibile della sua sensibilità, rivelando garbatamente l’autenticità della sua bravura, senza apparire mai borioso. Per tanti e per chi lo ha amato, resta, in tutta semplicità e magnificamente, “Cecco”. Credo, venisse davvero da lontano. E mi piace pensare che ci sia ritornato.
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