Cinema
Dunkirk: Nolan e il cinema di frontiera
Dunkirk è la prova (ulteriore) che il cinema di Nolan è un cinema di frontiera: se Interstellar era quella della speranza, il nuovo girato è il fronte della disperazione. Il regista inglese da sempre mette in scena storie al limite, dove sia i protagonisti che i nemici sono portati sul filo del rasoio mentale e fisico.
Viene spesso citato il Tempo come cardine della sua poetica, ma anche il superamento della linea dell’orizzonte, come miglioramento, fa parte dell’autorialità. Questi due approcci al tema si incontrano nella disgregazione del vissuto, nella sua atemporalità per azioni e conseguenze: un uomo è sempre un uomo nuovo quando decide di Sfidare.
È la dimensione della passione viscerale, del sogno umanamente inteso come senso escatologico alla propria vita intima e sociale: siamo destinati a raggiungere il ritorno a casa o la salvezza del proprio pianeta. La passione diventa ciò che modifica la gravità e quindi il tempo, disgregandolo e cambiando a piacimento la percezione di esso.
Dunkirk mette assieme tre tempi diversi su tre contesti spaziali differenti. L’ora sul Supermarine Spitfire in volo, la giornata in barca verso la costa francese, la settimana sulla spiaggia in attesa dei soccorsi. Elementi naturali: aria, acqua, terra, discendenti e sfumati nel fuoco dei minuti conclusivi. Nolan avvolge a spirale queste tre linee narrative attorno alla dimostrazione della natura conflittuale dell’essere umano, elemento che può sfociare nella guerra.
Il regista ci inserisce direttamente nelle budella della guerra, che va ben oltre la spettacolarizzazione del film holliwodiano-tipo e del patriottismo eroico. La guerra è fredda, essenziale, senza parole ma costituita solo da vite destrutturate e in balia del caso. I colori della fotografia sono quanto di più vicino all’emotività distaccata e al contempo intima di Atmosphere dei Joy Division.
L’amore per la patria è l’amore per una casa accogliente, aperta, quanto di più lontano dal totalitarismo e dalla propaganda da salvatori della stessa patria. È sincera rappresentazione dei legami con i propri luoghi natii e non altro.
Discorso a parte merita la colonna sonora di Hanz Zimmer, la quale riesce a creare una tensione costante che, merito anche dell’uso della Scala di Shepard, incute nei canali uditivi suoni meccanici quasi elettronici, distanti dagli echi epici classici di tanti altri war movie. Fuoriesce l’altro lato della guerra, legato alla meccanica della modernità. Le scene degli Spitfire sono le migliori: dinamiche, tese, vorticose e rappresentano il contesto dove la frontiera assume il ruolo principale, dove la caduta nella disperazione finisce per trasformarsi. I lunghi ed estesi movimenti di macchina – sul cielo, sulla spiaggia – sono la metafora cinetica di questo passaggio.
In Dunkirk fin dall’inizio si sa già di aver perso, e l’essere umano in lotta si trasforma nella resistenza, nel lottare per resistere senza puntare direttamente alla vittoria finale. Gli attori sono stati capaci di comunicare la mancanza perenne di sicurezza, il senso del tutto racchiuso negli sguardi, mediato non dalle parole ma dalla pancia, dalle viscere; dalla pulsione del conflitto in contrasto con la lotta per la sopravvivenza.
Il cinema di Nolan è cinema di frontiera, la poetica della contraddizione. Il film non si fa perfezione da capolavoro. Racconta l’umana condizione con ambizione, in tempi dove questa attitudine pare sia persa.
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