Cinema
Dal diritto del più forte alla legge del desiderio: il regalo di Pedro
Chi si aspettava come me dal film “Dolore e Gloria” di Pedro Almodóvar l’opera riassuntiva da consegnare ai posteri resterà deluso.
Questo regista con dentro la movida postfranchista è, infatti, destinato a inventarsi sempre. Passato e futuro sono due contenitori analoghi e i suoi personaggi sono come lui: illusi o disperati ma sempre pronti a ricominciare.
Il regalo immenso di Pedro è quello riservato ai grandissimi: annodare il proprio destino artistico a quello dell’umanità.
Eh sì, sono parole grosse ma attenzione, perché, come ha detto Francesco Vezzoli in occasione della presentazione del film che lo stesso regista ha fatto alla Fondazione Prada, “Pedro ha reso universale un tema personale”.
Il tema è quello dell’affrancamento nel percorso tra provincia e città delle anime che si ritrovano marchiate nei recinti paesani per poi rinascere nell’anonimato della sarabanda cittadina.
Rinascono anche quando soccombono perché conoscono la legge del desiderio, quella che Pedro ha fatto emergere condendo Fassbinder con un po’ di Hollywood ma passando per Cinecittà. Prendere l’impianto morale granitico di Fassbinder e sgretolarlo a colpi di melò, e, poiché quella del melodramma è una formula che più del neo o neo-neorealismo assomiglia alla vita, ecco che il regista creatore incide dentro la vita stessa e ne varia il corso.
La generazione almodóvariana di artisti gay (Gus Van Sant o Aldo Busi, giusto per citarne due) ha sviluppato una capacità di osservazione e rielaborazione che è appannaggio di chi è cresciuto nella clandestinità di sé: una capacità quasi quantistica di far collassare l’evento in una realtà finalmente possibile da abitare.
E noi oggi, destinatari privilegiati, cogliamo i frutti di un’indagine strepitosa e non più sommersa.
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