Cinema
Cinema, ‘The Report’: banalità del male bipartisan
The Report, USA, 2019, 120 minuti.
Regia: Scott Z. Burns. Cast: Adam Driver, Jon Hamm, Annette Bening, Ted Levine, Michael C. Hall, Tim Blake Nelson, Guy Boyd.
Se c’è una cosa che colpisce nella società americana è come essa sia capace di descrivere con realismo i propri mali senza intaccare minimamente la sua propensione a ripeterli. Hollywood è spesso uno specchio di questa sua attitudine ai limiti del cinismo. E’ il caso di questo film, presentato alla Mostra del cinema di Roma, in uscita nelle sale italiane il 18 novembre e dedicato all’indagine riservata avviata nel 2003 da una commissione del Senato americano sui metodi di interrogatorio adoperati dalla CIA nei confronti dei fondamentalisti e presunti tali arrestati in tutto il mondo e trasferiti nei suoi centri di detenzione segreti. Il protagonista Daniel Jones è un giovane e idealista, collaboratore della senatrice democratica a capo della commissione, che si imbatte non solo nelle resistenze della CIA, ma anche nelle titubanze della sua superiore e nell’aperta opposizione della Casa Bianca a pubblicare persino un sunto censurato, in base alle osservazioni della stessa CIA, del report. Siamo ormai negli anni in cui l’utilizzo sistematico della tortura è stato svelato dalla diffusione delle foto di Abu Grahib e il Presidente in carica Barack Obama. Alla fine il rapporto esce, ma è chiaro non solo che i colpevoli non pagheranno, ma che alcuni di loro verranno promossi e proiettati ai vertici della sicurezza americana.
Ci sono almeno due aspetti interessanti in questo film ben girato e che non perde mai il ritmo nonostante duri due ore. Uno è che contribuisce a sfatare il mito dell’onnipotenza dei presidenti americani. Come viene mostrato (e non si tratta di fiction) i presidenti americani sono prigionieri di una rete di sollecitazioni, condizionamenti e silenzi da parte di una pletora di potenti organismi e apparati di Stato che non hanno eguali in un paese come l’Italia. Chiusa in una bolla che la tiene all’oscuro, ma allo stesso tempo la protegge dalla verità, la Casa Bianca in parte non sa e in parte non fa nulla per sapere e in questo modo conserva la legittimità necessaria a intervenire quando verità scomode vengono a galla e allo stesso tempo garantire la continuità di quello che gli americani chiamano il deep state, di cui la presidenza e il Congresso sono il volto pubblico. Il secondo aspetto, strettamente connesso a tale continuità, è che il film smentisce impietosamente chi a ogni cambio al vertice degli Stati Uniti evoca la svolta epocale verso il progresso o verso la barbarie. Che l’inquilino della Casa Bianca si chiami Bush, Obama o Trump il cinico meccanismo della morte e della distruzione somministrate in nome della democrazia andrà avanti perché nessun singolo individuo, per quanto in alto nella gerarchia del potere americano (e ammesso che lo voglia), avrà la forza di bloccarne gli ingranaggi.
Daniel Jones incarna l’impotenza dell’uomo solo di fronte alla potenza degli apparati, di un intero establishment, di una logica perversa, che davvero fa risuonare le parole di Hannah Arendt ne La banalità del male. La tortura – spiegano nel film i consulenti legali della CIA – può trovare una giustificazione nelle pieghe della legge solo se è possibile dimostrare che da essa si traggono informazioni decisive per la sicurezza nazionale. Dunque bisogna certificare che funziona a ogni costo, anche di dire il falso, per salvare gli agenti e gli organismi che la praticano da un’eventuale incriminazione. Un paradosso già affrontato qualche anno fa in Dirty Wars, il documentario del 2013 sugli assassini mirati da parte della CIA e dell’esercito americano: ‘Avevamo una lista di obiettivi da eliminare – raccontava al giornalista Jeremy Scahill uno dei killer di Stato – e ogni volta che arrivavamo alla fine ne arrivava un’altra più lunga e così all’infinito fino a che non capivi più che cosa stavi facendo e perché’. Di fronte a questa logica cinica e perversa la politica reagisce con un misto di impotenza e ipocrisia: ‘Se oggi aprissimo una guerra contro la CIA sui casi di tortura – dichiara il capo di gabinetto di Obama in una delle scene finali di The Report– solleveremmo un polverone e i repubblicani ci impedirebbero di realizzare le grandi riforme che ci chiedono gli americani. E il rischio sarebbe non vedere più un democratico alla Casa Bianca per i prossimi vent’anni’. Da vedere.
Recensione tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 25 ottobre.
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