Cinema
Cinema. I cinquant’anni di ‘Amarcord’. E trenta senza il ‘Maestro’
In una piazza Cavour gremita, a due passi da quel cinema Fulgor restaurato e riaperto nel 2017 in cui il giovane ‘Maestro’ – seduto sulle ginocchia del nonno a guardare ‘Maciste all’inferno’ – scopriva la magia del cinema, il saluto più dolce e spontaneo era stato un grido, a risuonare nel silenzio: ‘vai, Federico’. L’ultima parola prima del commiato eterno che Rimini aveva dedicato a uno dei suoi figli più illustri. Se non il più illustre: Federico Fellini, scomparso il 31 ottobre del 1993.
L’ultimo saluto – affettuoso – della città che la sua fantasia di cineasta ha consegnato per sempre alla storia con quell”Amarcord’, Oscar nel 1975, che ha portato sul grande schermo il natio borgo San Giuliano; il Grand Hotel e il mare solcato dal ‘Rex’ luccicante; la passeggiata del porto – che a Rimini chiamano la ‘palata’ – e il ‘Fulgor’, teatro dell’innamoramento per il cinema. Luoghi resi immortali seppur ricostruiti a Cinecittà, forse più consona – tra cartapesta e fondali posticci – a dare corpo all’universo onirico felliniano e a ricreare – seppur con il distacco di centinaia di chilometri – quell’intimità con la sua gente: le facce del borgo, le ‘azdore romagnole’, i vitelloni, i pescatori e i ‘pataca’, i signori in ‘smoking’ sulla terrazza del Grand Hotel. Ritratti che hanno costellato l’immaginario del Maestro, volato a Roma verso la grandezza, ma sempre legato, dal ricordo, a quella cittadina sull’Adriatico che ha nutrito i suoi sogni di ragazzo.
Trenta anni fa erano stati migliaia i riminesi, più di 20.000 avvolti dalla nebbia, che si erano stretti attorno a Fellini, per l’ultimo ciak, regalandogli l’applauso caldo e malinconico. Il tributo a un uomo di cui andare fieri e che, come nessun altro, aveva saputo cogliere, guardandola da lontano, l’indole della sua gente, il suo cuore e la sua anima. Legata anche agli oggetti più semplici: ai quattro montanti del letto, Fellini aveva dato i nomi dei quattro cinema di Rimini: e da lì, prima di addormentarsi, prendevano forma le sue storie oniriche, immaginifiche, che dal piccolo borgo della Romagna, lo hanno portato alle vette della cinematografia mondiale.
Adesso, in questo 2023 appena iniziato, la sua città – che nel frattempo ha dedicato al regista un ‘museo diffuso’, il ‘Fellini Museum’ che si snoda tra il quattrocentesco ‘Castel Sismondo’ ideato tra gli altri dal Brunelleschi; Piazza Malatesta e il ‘Palazzo del Fulgor’ – si appresta a celebrare un intreccio di date simbolo: il trentennale della morte di Fellini, i 60 anni dall’uscita nelle sale di ‘8 1/2’, i 70 anni dal debutto de ‘I Vitelloni’ e, soprattutto, i 50 anni di ‘Amarcord’.
Forse la pellicola più ‘amata’ dal pubblico, capace di stregare i giurati dell’Academy con un nonno che si perde nella nebbia (“Ma dov’è che sono? Mi sembra di non stare in nessun posto. Ma se la morte è così… non è mica un bel lavoro. Sparito tutto: la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino. Tè cul!”) e quella espressione dialettale ‘Amarcord’, ‘Io mi ricordo’, finita pure sui vocabolari e sulla Treccani a indicare ‘il ricordo, la rievocazione nostalgica del passato’ e divenuta, non senza una vena di ironia, di uso comune nella vita di tutti i giorni.
E nel segno del regista, a Gambettola – a un ‘tiro di schioppo’ da Rimini, nel Cesenate – è da poco tornata a nuova vita ‘Casa Fellini’, casolare di campagna cui vissero i nonni di Federico e dove lui stesso trascorse parte dell’infanzia. Rinata come ‘bottega culturale’ e residenza dedicata alle arti del Cinema, del Circo e del Teatro. Giusto in tempo per celebrare l’incrocio di ricorrenze. Ché, d’altronde, è tutto un ‘Amarcord’.
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