Cinema
Ci piacciono le donne cattive (almeno in tv)
In principio a caratterizzare la dark lady furono i sonetti 127-154 di William Shakespeare. Una diavolessa ammaliante in contrasto con le convenzioni letterarie composta di donzelle da salvare e di cui innamorarsi perdutamente. Purtroppo non conosciamo la vera identità della donna che ha ispirato Shakespeare, possiamo solo fare delle supposizioni. Alcuni sostengono che l’idea gli fosse venuta conoscendo Aline Florio, la moglie di un traduttore italiano, seduttrice seriale di uomini che puntualmente soffrivano molto una volta abbandonati. Raccontata così, pare più la genesi della gattamorta. Scartata. Altra ipotesi, a cui ci piace credere di più, è quella di Duncan Salkeld, studioso britannico che è convinto d’aver individuato la madre regina di tutte le cattive nella tenutaria di un bordello: Lucy Negro. Una donna dai capelli e la pelle scura, oltre al nome; priva di scrupoli, dalla vita dissoluta e socialmente poco difendibile, almeno per una società vittoriana. Non che le bionde siano meno ferine delle more.
In Gone Girl, David Fincher ha messo in scena l’amore distruttivo e prigioniero tra un velleitario e infantile scrittore fallito (Ben Affleck) e la figlia di uno scrittore, Amy Dunne (Rosmund Pike). Amy deve fare i conti con la perfezione del suo alter ego, amazing Amy, la prima della classe, sportiva e innamorata dell’uomo giusto; insomma: una donna vincente. A un certo punto scopriamo che la fantastica Amy in realtà è una cattiva ragazza. La verità è mediata continuamente, dai libri, dai diari, dai certificati ospedalieri. Due certezza: la prima è che il matrimonio può essere una prigione, la seconda è l’inaspettata perfidia di una biondissima Pike in cerca di vendetta sul fedifrago maritino, più oscura e maligna di Barbara Stanwyck e di Rita Hayworth. Ce lo aveva già detto Hitchcock in Vertigo: mai fidarsi delle bionde che scompaiono.
La vendetta muove anche Mrs. Draper in Mad Men, disposta a raccontare segreti inconfessabili per annientare la felicità di Don. La serie che racconta la trasformazione sociale dei costumi negli anni sessanta. Don è razzista, omofobo, beve molto, tradisce la moglie, è arrivista. Ma piace agli spettatori. Betty è altrettanto in linea con la donna del tempo. Incredibile che gli spettatori non le permettano di essere spregevole tanto quanto lo è Don, nonostante sia costretta entro le stesse catene sociali di un mondo molto diverso da quello di oggi.
Donne sadiche ce ne sono anche fuori dal matrimonio. Al cinema abbiamo recentemente conosciuto la donna per cui uccidere, in Sin City 2, in cui una manipolatoria Eva Green usa gli uomini per raggiungere i propri scopi (leggi: per diventare ricca). La donna per cui uccidere è in realtà la mandante di uccisioni truculente e maestra nel doppiogioco. Purtroppo, in linea con la tradizione noir, la perfida muore, punita dall’uomo a cui aveva strappato il cuore. Tornando alla televisione, forse il premio per la spregiudicatezza lo vince la scandalosa Cersei Lannister, regina di Game of Thrones (Il trono di spade), la quale non si fa mancare l’assassinio del suo migliore amico a otto anni, una relazione incestuosa col fratello, uccisioni, intrighi, menzogne. A lei dobbiamo il foucaultiano: “Il potere è potere”, o l’anti Janeausteniano “Più persone ami, più sei debole”.
Di donne cattive nella storia ce ne son parecchie. Nonostante Giulia Maesa non salì mai al trono, fu regista occulta nella corruzione dell’Impero Romano e nei giochi di potere. Si racconta che Maesa favorì l’uccisione di Eliogabalo. Claire Underwood ne è una epigone per freddezza e calcolo. Claire è la protagonista femminile di House of Cards, la serie brandizzata Netflix, ama solo un uomo al mondo: Frank, il futuro presidente degli Stati Uniti. Lei non solo accetta i compromessi quotidiani per essere un giorno la first (dark) lady, ma è pronta ad andare oltre ogni limite (“Lascerò morire il bambino che hai in grembo se sarà necessario”). L’ambizione non si perdona facilmente alle donne, figuriamoci quando si accompagna alla cattiveria.
La dark lady è uno stereotipo narrativo che ha caratterizzato mezza storia del cinema e della letteratura. Nulla di nuovo. Eppure val la pena di ribadirlo, questo è il momento televisivo di maggior ridefinizione del carattere femminile, sempre più centrali nel racconto. La tv è diventata il club delle nuove ragazze, ha scritto il Times. Il club delle cattive ragazze, diremmo noi. Questi personaggi non ci provano neppure più a dissimulare la propria natura letale e mortifera dietro a un aspetto angelico. Rivendicano la cattiveria come parte di sé. Sono decise nel mantenere il proprio potere con ogni mezzo, come fa Annalise Keating in How to get away with murder con i suoi clienti o con se stessa: farla franca a ogni costo (anche se ciò significa distruggere la vita del proprio uomo). C’è chi tra i giornalisti di costume sostiene che questo trend sia sintomatico di un’autentica equiparazione tra uomo e donna: la possibilità di essere arriviste, decise, violente è da leggere come un segno dei tempi di una donna autoritaria. Eppure c’è un problema con questa liberazione: Don Draper e Frank Underwood sono più invidiati che temuti. Se a essere ambiziose, distaccate e calcolatrici sono le donne, le chiamiamo stronze. Forse la vera identità della prima dark lady non la si conosce, ma di cattive ragazze, per fortuna, è pieno.
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