Cinema
Chernobyl: la serie del momento
Lunedì è andata in onda in Italia la prima puntata di Chernobyl, serie prodotta dal network americano HBO (lo stesso del Trono di Spade) che narra in un breve arco di 5 puntate da un’ora il disastro avvenuto il 26 aprile 1986 alla centrale nucleare Vladimir I. Lenin. Il reattore a fissione nucleare, come è noto, esplose emettendo nell’aria di mezzo continente radiazioni letali. La serie è già andata interamente in onda negli Stati Uniti e in altri paesi cosicché possiamo darvi un quadro di insieme sul perché è stata così acclamata dalla critica e dagli spettatori, aggiungendo qualche considerazione politica per comprendere come mai in Russia non sono esattamente contenti del risultato, tanto da averne già prodotta un’altra in casa loro.
Non è affatto facile creare una storia che possa rendere la portata dell’evento, comunicarne la drammaticità e coinvolgere con la narrazione dei personaggi. Soprattutto perché oggi siamo abituati a vedere rappresentate vicende con momenti thriller o colpi di scena. Qua abbiamo certamente un avvenimento catastrofico, ma nei primi 15 minuti dello show questo già si è consumato; ciò di cui si parla è quindi il modo in cui è stata gestita l’emergenza, che non è semplice da rendere accattivante per il pubblico senza sfociare nel documentario. Sicuramente la riuscita del prodotto è dovuta a un comparto tecnico eccellente, a degli effetti speciali impeccabili; fotografia, regia, recitazione, gli stessi volti degli attori sono perfetti per il ruolo incarnato. Però una serie tv si fonda, più che un film, sul contenuto che è raccontato e che deve coinvolgere lo spettatore per invogliarlo alla puntata successiva.
La vicenda è narrata con crudo realismo, non gratuito ma funzionale per comunicare la gravità dell’evento, la fatalità delle radiazioni. Lo stesso ritmo narrativo esprime costantemente lo stato di desolazione. Certo gli sceneggiatori si sono presi qualche libertà rispetto alla perfetta adesione storica degli eventi. Ma ciò è stato fatto sia per l’esigenza di semplificare la trama e rendere identificabili i personaggi chiave, che sono reali come le loro vicissitudini, sia per evidenziare aspetti chiave della lettura con cui è affrontata la vicenda. In Chernobyl i protagonisti non sono solo i tre ruoli attoriali principali, ma in realtà sono tre realtà non esattamente personificate. Nella prima puntata, infatti, i protagonisti non sono quasi presenti. Si è concentrata l’attenzione su due particolari soggetti, che sono i nemici della storia. Il primo, e ovvio, la centrale nucleare. Il mostro che incomprensibilmente esplode e scatena l’emergenza a cui nessuno nel mondo è preparato. Questo in un certo senso rappresenta la naturalità delle catastrofi, qualcosa che avviene, ed è inizialmente inaccettabile, e l’essere umano si riscopre da dominatore della potenza nucleare, agnello indifeso ed ingenuo.
Il secondo nemico invece è qualcosa che è al contempo diverso e molto simile. Diverso perché più controllabile, prevenibile; ma al contempo corresponsabile del disastro. È la macchina burocratica governativa, lo stato sovietico. Certo qualcosa che noi occidentali abbiamo imparato a criticare bene nei film e nella nostra narrativa. Qualcosa su cui questa produzione se fosse avvenuta ai tempi della cortina di ferro non avrebbe sicuramente lesinato aspre considerazioni, o propaganda, sulle divergenze economiche tra primo e secondo mondo. Ma a 30 anni dalla caduta del muro quello che è qua rappresentato si concentra su aspetti molto vicini al mondo atlantico, più di quanto noi occidentali vorremmo ammettere.
Ciò è sottilmente dichiarato nella scena paradossale al limite del ridicolo, in cui viene pronunciato un panegirico in favore dello stato e che porta, nel momento più drammatico, a un applauso di giubilo in favore dei burocrati a capo della centrale. Coloro che non vogliono ammettere il disastro non solo per paraocchi tecnici o per la sola paura della pena ma anche per quella di non ottenere una promozione, e anzi quasi intravedono un’occasione per “risplendere”. Questo descrive bene una situazione che si potrebbe creare in qualsiasi ente governativo occidentale o in qualsiasi azienda preoccupata di perdere considerazione nel mercato. È un particolare che avvicina Chernobyl con un vecchio film che anticipò l’incidente di Three Mile Island, La sindrome cinese, in cui il nemico che vuole tenere all’oscuro la cittadinanza dai rischi del nucleare è un’industria, un amministratore delegato. Le bugie dello stato o di una generica organizzazione dette per poter preservare l’ordine delle cose sono un punto cardine per interpretare la serie, al di là dell’ottima ricostruzione della tragedia nucleare. Sono anche il motivo per cui la serie non è piaciuta al governo russo, a Putin: in televisione passa qualcosa che dice che lo stato mente a sfavore della sua comunità.
È una considerazione quasi anarchica che però non deve sfociare nel complottismo. In Italia abbiamo buona esperienza delle bugie dello stato, dalla trattativa con la mafia alla bomba in piazza Fontana. Ma anche di quelle delle aziende private, basti pensare al ritardo comunicativo per la diossina dell’ICMESA. È in questo momento che interviene il terzo soggetto in Chernobyl, quello del riscatto. Le persone, i soggetti individuali sono i protagonisti positivi. La salvezza è assegnata alla loro iniziativa personale e al sacrificio anche della propria vita. Agli scienziati e agli uomini di governo che capiscono la gravità, e lottano contro la stolidezza statale e alle migliaia di quelli che poi verranno chiamati liquidatori, i quali offriranno fisicamente i loro atti eroici per arginare il peggio e salvare milioni di vite dalla contaminazione.
Si scopriranno poi le cause dell’esplosione, e questo è storia. La cieca fiducia dei tecnici al comando della centrale nelle loro conoscenze e nei loro strumenti da una parte; l’errore nella progettazione degli strumenti volutamente nascosto, e in tal modo propagato per la paura di sfigurare, di esporsi al biasimo di quello che si potrebbe chiamare il “grande altro”. I capi politici, lo stato, i dirigenti, le aziende: sono tutti impegnati nell’apparire giusti o forti, spostando il piano della realtà in quello dello spettacolo, in cui tutti gli attori hanno preciso e in parte inconsapevole ruolo per mantenere l’illusione nei confronti degli stati amici e nemici o delle altre aziende nel mercato, prima che in quelli delle persone. Proprio perché le persone, la cittadinanza, hanno fede nello stato o nel mondo economico, la stessa fede di chi applaude Lenin al tavolo di emergenza nella centrale.
Non è necessario arrivare agli esempi di disastri o alle stragi. Sempre in ambito sovietico è emblematico il caso del Canale di Stalin, il Belomorkanal, e quanto importante questo fu per la propaganda dei piani quinquennali. Lo scetticismo verso le posizioni di comando che ripetono il “there is no alternative” nei confronti di interventi economici ed ecologici che potrebbero preservare il nostro benessere o la nostra stessa vita, o verso chi mentendo vuole conservare la fiducia nello stato vigente delle cose, basta e avanza per racchiudere il messaggio di Chernobyl. La serie ha quindi successo perché intercetta l’attuale sentimento, a volte inconscio, di particolare emergenza ambientale ed economica del nostro momento storico. Contribuisce a prenderne coscienza, in modo che le persone, i protagonisti positivi possano agire contro l’ingiustizia e l’irrazionalità del mondo costituito. Anche perché quando arriva la catastrofe è ormai troppo tardi.
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