Cinema

Carrie, Leila e il femminismo spiegato dallo spazio

27 Dicembre 2016

C’erano una volta le principesse in attesa del principe azzurro: belle, femminili, ma fragili. Perennemente in attesa di un aiuto esterno e di un evento in grado di cambiare la loro vita, vivevano in funzione di un contrasto fra bene e male del quale erano oggetto e non soggetto. Un modello archetipico che, fin dall’antichità, ha modulato il nostro immaginario e influenzato la formazione identitaria del “femminile”. Poi, molto prima della trasformazione delle principesse Disney, segnata dalla comparsa di Belle (ne La Bella e la Bestia) e di Mulan – solo per fare alcuni esempi – in sostituzione alle varie Cenerentola, La bella addormentata e Biancaneve, è comparsa sul grande schermo una principessa del tutto differente da quelle alle quali la cultura di massa era abituata: la principessa Leila di Guerre Stellari. Bella, intelligente, bisognosa d’aiuto e capace di chiederlo, ma pronta a combattere in prima persona, determinata. Leila incarna un modello differente sia dal tradizionale personaggio dell’eroina vittima del Fato in attesa di soccorso, sia dalla guerriera, spesso virago, che per difendere la sua autonomia rinuncia – di necessità – al suo lato femminile. Leila non indossa abiti maschili per andare a combattere il lato oscuro. Due sono infatti le immagini-icona dei tre film “classici”: l’abito bianco, che richiama una regalità quasi sacra, un paramento da sacerdotessa più che un abito da principessa in Star Wars una nuova speranza, e il “bikini da combattimento” del Ritorno dello Jedi.

 

 

La principessa Leila rispecchia una complessità che, da una parte a causa della visione della protagonista femminile tradizionale, dall’altra per il rovesciamento critico portato avanti da una certa riflessione femminista, aveva fino ad allora faticato ad emergere nella produzione per il grande pubblico. Generazioni di giovani donne hanno quindi avuto modo di confrontarsi con un modello semplice, d’impatto immediato, facilmente comprensibile, di femminilità diversa e articolata. La principessa che non aspetta il principe azzurro, ma che non rinuncia per questo ai sentimenti, che si sa difendere – nelle parole e nei fatti – ma che vive di relazione con i suoi compagni ai quali offre e dai quali riceve aiuto. E tutto questo difficilmente sarebbe stato espresso in modo così preciso senza l’attrice Carrie Fisher che con la sua bellezza, indiscutibile ma giocata in modo ironico, la sua espressività sempre fra il serio e lo scherzoso, il suo prendersi e non prendersi sul serio, ha saputo dare un tocco di grande concretezza e umanità al personaggio.  

Le protagoniste di Star Wars successive non sono forse riuscite a fare altrettanto. Figure monumentali di solidità tragica, non possiedono quell’elemento di realtà capace di renderle sfaccettate e, in fondo, vere. La principessa Leila ha rappresentato un modello percorribile per molte generazioni. Giovani spettatrici che non hanno certo salvato la galassia dalle minacce della Morte Nera, ma hanno affrontato la propria quête – perché di questo in fondo si tratta – con grinta e autoironia, senza dimenticare che si può essere “delle dure, senza perdere la tenerezza”. E questo è forse stato un precoce esempio, e fra i meglio riusciti, di un femminismo “pop” e della quarta ondata femminista.

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