Cinema
Boardwalk Empire, la fine di un’epoca
Negli Stati Uniti è da pochi giorni terminata la quinta e ultima stagione di Boardwalk Empire. Gran finale. Tutto avviene attraverso e per merito del denaro. Non ce n’è mai abbastanza ed è ciò che dà la spinta per andare avanti in un mondo talmente a pezzi in cui altrimenti non avrebbe alcun senso neppure agire. Gli autori della serie non propongono una soluzione alternativa a questo tipo di realtà. Non c’è critica del denaro perché non esiste un Eden o una situazione esemplare a cui puntare. Bene che vada, nella serie i personaggi proposti sono “solo” alcolizzati e picchiano la moglie, ma questi sono i più genuini. Gli altri sono un ensemble di assassini e stragisti. Ma i rapporti non sono viziati dal denaro. I rapporti sono di per sé vuoti di bontà e pieni di violenza, di sopraffazione. I rapporti umani si mostrano come qualcosa di tremendo. Di insincero per loro stessa natura. E non solo tra i mafiosi ma attraverso tutta la società. Allora, il denaro e i magnifici anni ’20 e poi l’inizio dei ‘30 e l’eleganza dei locali e i fiumi di whiskey servono soltanto per rendere questa valle di lacrime un posto a mala pena sopportabile. E allora vale anche la pena uccidere e tradire di continuo per alleviare la pena.
Eppure il denaro potrebbe essere qualsiasi altra cosa. È semplicemente un modo per andare avanti, per sopravvivere e per cercare di crearsi un proprio posto al sole. Per avere, per dirla con James Bond, un quantum of solace. Una nicchia di conforto o, al massimo, uno spazio di relativa libertà. Che poi è sempre illusoria, passeggera. Si risprofonda sempre nel giro e la cosa, tutto sommato, viene accettata senza troppi problemi. Qui non c’è Michael Corleone che nel Padrino parte III dice “più cerco di tirarmi fuori e più mi ritirano dentro”. Lì c’è ancora la speranza di ripulire il proprio nome, di lasciare dietro di sé qualcosa di concreto, qualcosa che possa durare, un figlio che possa essere un rispettabile “piezz’a novanta”.
Qui no. Non c’è nessuna speranza del genere. Qui il futuro non esiste. Tutto viene spazzato via. Distrutto. Siamo nei giorni immediatamente precedenti alla fine del proibizionismo e in piena Grande Depressione. A cavallo tra due epoche. I giovani boss con nuove regole tolgono di mezzo quelli vecchi. Non ci sono più punti fermi. Siamo nella fase dell’attraversamento e chi è colto in quella fase resta sospeso. Non vede neanche più il motivo di creare qualcosa, di lasciare un segno dietro di sé. Non è più nel suo mondo, non appartiene più a quel tempo. Solo il denaro è rimasto. Sempre spendibile per provare a comprare, per sperare di comprare, un pezzetto di felicità. Una speranza umana e crepuscolare.
Una buona dose di nichilismo la troviamo dentro ogni singola inquadratura, una rinuncia definitiva a qualsiasi tipo di valore. Non per scelta, non per volontà ma perché non può essere diversamente. Gli eventi ci superano, confidare nei vecchi valori non diventa soltanto anacronistico ma disumano perché sono valori che non esistono più. Anzi, sono stati modificati e rimodellati per crearne dei nuovi. Ma i vecchi personaggi non sono in grado di assorbire il nuovo modo di stare al mondo. Allora resta solo un tempo, enormemente dilatato e non più loro, da vivere al meglio. Una vita da attraversare per tutto il tempo necessario e che si prova a rendere un po’ più dolce, un po’ meno amara, per i giorni rimasti.
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