Cinema

Addio Macon Leary

21 Marzo 2022

Che William Hurt sia stato uno degli attori simbolo del cinema statunitense degli anni ottanta ben pochi dubbi si possono avere. Lanciato da Ken Russel nel semi deludente “Stati di allucinazione”, un film che vuole analizzare gli esperimenti sugli allucinogeni ma che dopo un interessante incipit si perde nelle fantasmagorie di cui spesso era vittima il regista, Hurt diventa un simbolo della generazione di autori post spielberghiana grazie a Lawrence Kasdan con l’imprescindibile “Il grande freddo”, vero e proprio portfolio di interpreti che faranno la storia del cinema americano di quel decennio e oltre.

Si potrebbe raccontare della vita di Hurt, comprese le problematiche esistenziali, gli abusi alle mogli (tra cui Marlee Matlin, conosciuta in “Figli di un dio minore”); un uomo difficile come i suoi personaggi migliori. Ma è meglio ricordare la certezza di un interprete che, forse come nessun altro al tempo, ha incarnato la fragilità del maschio americano in piena postmodernità. Postmodernità che Kasdan opera rapidamente nella rilettura del classico “Double indemnity” di Billy Wilder col suo “Brivido Caldo”. Più che Wilder troviamo però Hitchcock come nume tutelare.

Nel film l’attore interpreta un avvocato a cui è difficilissimo tenerlo nei pantaloni. Kathleen Turner è la femme fatale che lo porterà alla rovina. Ma c’è un personaggio che a me è caro nel parco di interpretazioni di questo attore, che lavorerà fino al 2021, dividendosi tra film impegnati, bufale d’autore (“Fino alla fine del mondo” di Wenders” è l’esempio più eclatante e un saggio su come non si dovrebbe girare un film d’autore) e persino film Marvel. Il personaggio è quel Macon Leary, protagonista di “Turista per caso” 1988, sempre di Kasdan e tratto da un libro di Anne Tyler. Il film di per sé è adorabile, anche se forse un affondo esistenzialista più deciso avrebbe portato il racconto a un livello più alto della commedia dolceamara che altro non è.

Macon Leary e William Hurt sono due entità indistinguibili. Sia dal punto della recitazione che grazie alla fisicità, contrasto tra la bellezza fisica di Hurt, di tipo slavo, e la rinuncia a vivere, Macon Leary diventa un perfetto modello di castaway, uomo che tende a rinunciare a vivere, misura i suoi atti e ne fa addirittura una guida per coloro che sono costretti a viaggiare controvoglia. I viaggiatori riluttanti. La scena dei titoli di testa, con la voce off che legge una pagina dalla guida dello stesso Leary ne è un esempio sintesi; viene preparato un bagaglio col necessaire per proteggersi dalle difficoltà delle trasferte al di fuori della città di residenza.

Tra i vari oggetti sono rappresentativi di tutto il senso del film il libro (deve essere un solo libro e utile per evitare di essere preda di qualche attaccabottoni) e l’abito grigio, nell’eventualità che tocchi di andare a un funerale. La vita di Macon sta tutta in questi oggetti; il lutto (lui e sua moglie han perso l’unico figlio) e la distanza (Leary preferisce alla casualità della vita il rifugio nella casa degli svitatissimi fratelli.

Hurt riesce a conferire al personaggio tutto lo spleen necessario, il bartlebianesimo di Melvilliana memoria. Forse sarebbe stato meglio che Macon non avesse avuto un motivo così concreto come la perdita del figlio per giustificare il male di vivere ma siamo dentro una commedia e in certi casi certi mcguffin sono ineviitabili. Hurt ci mette tutta la dolcezza e la riluttanza necessarie. Il volto è perennemente stanco, a tratti severo nell’essere colto di sorpresa dalla vita. È un uomo bellissimo ma la cosa non sembra interessargli. Basta vedere l’impermeabile che indossa mentre accompagna Geena Davis a portare in giro il suo Corgi per l’addestramento. Ecco come mi piace ricordare questo attore, scomparso a Portland il 13 marzo 2022; un artista completo ma riluttante, come Macon Leary.

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