Cinema
A Venezia 72 arriva il film di Celestini che non piace al Coisp
A Venezia oggi è anche il giorno di Ascanio Celestini. L’attore e regista arriva al Lido con il suo “Viva la sposa”. Girato per le strade della Roma che Celestini vive e frequenta quotidianamente, il film racconta intrecciate storie di vita di “poveri cristi”.
Il primo di questi ultimi è Nicola, interpretato dallo stesso regista, che passa il tempo bevendo e fingendo che stia smettendo di bere. “Viva la sposa” è la sua storia e di tanti altri personaggi che incontra per destino o per caso, come in un road movie. Perciò è anche la storia di Sabatino che truffa le assicurazioni provocando incidenti, ma un giorno è ubriaco e l’incidente diventa mortale. È la storia di Salvatore, figlio di Anna e forse anche di Nicola, ma Anna è una prostituta e non lo sa chi è il padre di suo figlio. Invece il padre di Nicola è morto da tempo e lui se lo sogna ancora, la madre è una donna piccola e prima di morire vorrebbe che suo figlio sposasse Sofia (Alba Rohrwacher), che si chiama così perché il padre avrebbe voluto che fosse come la Loren nel film di De Sica. Sofia dice che scappa in Spagna con l’amica. Lo dice, ma poi resta a Cinecittà. È la storia dell’Abruzzese che fa il carrozziere, però anche il parcheggiatore notturno.
Ma quella raccontata da Celestini è anche la storia di Sasà che una notte finirà peggio di tutti nella stanza di una questura di periferia, proprio come Giuseppe Uva (ndr, il carpentiere morto il 14 giugno 2008 dopo un fermo di polizia e successivo Tso, in una caserma di Varese). Riferimento, quest’ultimo, che non ha messo al riparo il film dalle parole di Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp – Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia, che ha indirizzato una durissima lettera al regista: “Il suo film fa schifo, signor Celestini, glielo diciamo senza averlo visto, senza mai aver fatto gli attori, senza mai aver fatto un minuto di regia o di teatro. Il suo film è orrendamente dozzinale… la sua opera, scusi il termine un po’ forte, fa cagare… lei recita come un cane e dietro la macchina da presa fa ancora più pena”.
Una presa di posizione forte, quella del sindacato, che dimostra ancora una volta come non si percorra la strada giusta nel superare l’ormai continua guerra mediatica e di valore tra forze dell’ordine e cittadini. La preoccupazione del Coisp sembra essere quella che il film di Celestini, colpevole di esprimere troppo spesso giudizi sull’operato delle forze di polizia anche attraverso il suo blog, possa condizionare l’opinione pubblica su un caso delicato come quello di Giuseppe Uva, perché (sempre secondo Maccari) sarebbe ora di smetterla con certe “manfrine su tutti coloro che sono morti nelle mani dello Stato perché ne sono pieni i titoli dei giornali”. Quella del Coisp è una lettera che parla esplicitamente la lingua dell’insulto, e si fa vanto di non conoscere l’opera che però condanna e giudica, e questo trova poca giustificazione, arrivando da chi dovrebbe rappresentare la legalità e spingere affinchè il dibattito su una questione così delicata come quella delle morti di stato divenga civile e costruttivo. Ma davvero i molti agenti che tutti i giorni vestono la divisa e operano per il bene collettivo si sentono così rappresentati?
(Qui è possibile leggere il testo integrale della lettera)
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