Cinema

A margine del film: il capro espiatorio di Hammamet

12 Gennaio 2020

Nel film “Hammamet”, dedicato a Bettino Craxi nel ventennale della sua morte, si descrivono poeticamente gli ultimi sei mesi della sua vita, con il delicatissimo tocco di un regista  che ama il teatro classico, quale è Gianni Amelio. L’interpretazione di Favino è magistrale, “recita in uno stato di grazia”, come ha riferito anche Bobo Craxi nella sua recente intervista a “Repubblica”.
Craxi rivive nelle sue lunghe pause, nello sguardo sprezzante, nell’eloquenza forbita del suo parlare, nel sorriso triste di chi sente la caduta di un prestigio macchiato ingiustamente, nella ricerca dell’affetto filiale di chi è tragicamente solo, nell’attesa irriducibile della fine prossima a venire.
Nei dialoghi, che attingono ai suoi ultimi scritti, si sente il grido di dolore e di rabbia di un uomo politico che avverte di essere il capro espiatorio del sistema di corruzione marcio della prima Repubblica, che aveva abusato, senza limiti e ritegni, del finanziamento illecito ai partiti politici.
Nel famoso discorso alla Camera dei Deputati, il 3 luglio 1992, Craxi aveva ben sottolineato che tutti i partiti erano coinvolti nella raccolta del finanziamento illecito:

“Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.

Non fu possibile una “soluzione politica” al grave e canceroso problema del finanziamento illecito, perché arrivarono  Tangentopoli e Mani Pulite.
E da qui lo scontro in cui perse la politica e vinse il potere giudiziario, con un’inevitabile deriva e disarticolazione dell’equilibrio tra i poteri dello Stato ed il prevaricamento di quello dei Magistrati.
Craxi nel luglio del 1993 scrisse una lettera ad Andreotti, prima di salire -21.3.1994- su quell’aereo che lo portò a Tunisi, senza più tornare. “L’uso violento del potere giudiziario ha aperto la strada a un golpismo strisciante e variamente vestito, di fronte al quale c’è solo la paralisi, lo sbandamento e la viltà di tante forze democratiche. A presto. Tuo B. Craxi”
Con Mani Pulite, come scrisse Angelo Panebianco in inascoltati editoriali sul “Corriere della Sera”( “Il silenzio sul ‘92” politica e rivoluzione giudiziaria- 28.7.2007), si ebbe una “Rivoluzione Giudiziaria”, soprattutto per l’uso disinvolto del rimedio della carcerazione preventiva e per lo sconfinamento dal suo alveo naturale dell’ordine giudiziario (Seconda Repubblica e magistratura, Lo squilibrio tra poteri. Corriere della Sera del 21.3.1994).
“Noi incarceriamo la gente per farla parlare. La scarceriamo dopo che ha parlato”, disse candidamente Borrelli, Procuratore Capo di Milano (Il Giornale 4/6/1993).
Veniva disinvoltamente divulgata la notizia degli avvisi di garanzia, sentiti dall’opinione pubblica come condanne definitive per i destinatari.
Il tintinnio delle manette era d’uopo con la luce della lampada in faccia all’interrogato, che contestualmente ascoltava le dichiarazioni di un altro indagato nella medesima stanza che lo accusava per costringerlo a parlare; avveniva prontamente con un diluvio di narrazioni anche non richieste.
Di Pietro disse che gli imprenditori milanesi,quelli degli happy hour, si mettevano in fila sulle scale della Procura, desiderosi di liberarsi con confessioni fiume, per sbugiardare i politici di turno: avevano paura di essere arrestati, a prescindere.
Quella che sembrava un’epoca di catarsi e rinascita si rivelò , tuttavia, come un periodo cupo, meschino, di furori e paure, di follia collettiva, in cui una cultura politica era stata spazzata via in modo dissennato, per mano di una magistratura che si sentiva a capo di un moto rivoluzionario. Era il Terrore di Robespierre dopo la Rivoluzione.
Craxi non accettò di essere l’unico colpevole: non si è mai spiegato perché il Partito Democratico di sinistra (l’ex partito comunista italiano) non fosse coinvolto con altrettanta ferocia criminale, come invece lo fu il Partito socialista insieme alla Democrazia Cristiana , annientati ed inceneriti da Mani Pulite.
E questa disparità di trattamento Bettino Craxi non sopportava : riteneva che la “giustizia purificatrice, catartica”di Mani Pulite fosse mistificatoria e bugiarda. Ed aveva un coraggio da leone a dichiararlo ed a combatterlo, anche contro una stampa acquiescente e supina ai magistrati, priva dell’autonomia di pensiero, per denunciare un travalicamento  di poteri, quello dei pubblici ministeri, sovente contro i principi costituzionali.
Non poteva tornare in Italia, lo avrebbero arrestato, anche se malato terminale.
Lo dichiarò Borrelli, come se la giustizia fosse la gogna desiderosa di dare in pasto alla moltitudine inferocita la testa del nemico.

Sarebbe potuto tornare in Italia, ma piantonato dai carabinieri in ospedale, per essere trasferito convalescente all’infermeria di San Vittore. Ma Craxi sdegnosamente non accettò.
Nel film la scena della morte è straziante, si accompagna alla derisione di Craxi assiso, ma malato ed indifeso ed accusato ignominiosamente da tutti, senza potersi difendere.
Dopo vent’anni lo strapotere dei Magistrati è ancora vivo, perché strappano la Costituzione, senza che la politica abbia un sussulto, il coraggio motivante per ridimensionarli.Siamo al populismo giudiziario.
E Craxi, nella sua indubbia grandezza, è morto per questo, a difesa della libertà e senza alcun tesoro.

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