Cinema

5 serie tv da recuperare

31 Luglio 2015

Se non vi convince il fatto che si gridi al capolavoro per True Detective, Breaking Bad o Game of Thrones, forse in questo brevissimo elenco potreste trovare qualche serie tv meno nota (tranne una), più datata e molto probabilmente di qualità davvero superiore rispetto a quelle di cui si parla quotidianamente con accenti un po’ eccessivi.

Cinque serie tv, che vanno dalla fine degli anni ’90 fino al 2013, in cui non succedono mille cose in ogni episodio con un ritmo così sincopato da far venire l’ansia; in cui non c’è l’obbligatorio colpo di scena finale; in cui, a volte, non succede praticamente nulla durante l’intera puntata, permettendovi così di godere pienamente dell’affresco che gli autori stanno creando.

Nella mia personalissima opinione (non che sia un critico tv), queste sono le migliori serie tv che siano circolate, anche se un posto in più si potrebbe riservare per le prime stagioni di Mad Men e andando ancora più a ritroso nel tempo non ci si dovrebbe mai scordare di Twin Peaks. Di queste cinque, quattro sono prodotte dalla HBO, non può essere un caso.

Deadwood

Deadwood

Bordelli, whisky dalle prime ore del mattino, filoni d’oro, scalpi d’indiani, linciaggi, vendette, sfide e uccisioni colpendo alla schiena. Il tutto intercalato da un “fuck” dopo l’altro a ripetizione. Il peggior immaginario western risiede a Deadwood, un paese – anzi un “camp”, come lo chiamano loro – che deve ancora ufficialmente sorgere, in cui lo stato e la legge non sono ancora arrivati e in cui, quindi, le cose vanno come potete immaginare. Prodotta dalla HBO dal 2004 al 2006 e creata da David Milch, Deadwood è andata in onda per sole tre stagioni a causa di un successo di pubblico non travolgente. Da qualche parte, però, avevo letto di come si trattasse “della serie tv meglio scritta di sempre”. Non so bene cosa voglia dire, ma tendo a pensare che avessero ragione. Da segnalare come Deadwood racconti la storia di un posto reale, che oggi è una cittadina del Dakota del Sud da poco più di mille abitanti e come Wild Bill Hickok – che compare nelle prime puntate di una serie tv in cui ci sono altri personaggi realmente esistiti, tra cui Calamity Jane – sia stato davvero ucciso qui, nel 1876, colpito alle spalle dal codardo Jack McCall.

Treme

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Tre stagioni e mezzo per un’altra serie che si avvicina al capolavoro ma che non ha goduto di un grandissimo successo di pubblico. Eppure Treme è davvero una chicca splendida, soprattutto per chi è affascinato da New Orleans e dalla musica jazz, e magari vuole capire perché in questa assurda città ci sono delle truppe di “indiani di colore” che si sfidano per le strade dei quartieri indossando giganteschi e improbabili costumi. Treme è il quartiere storico di New Orleans, a due passi dalla celebre Frenchmen Street. Nella serie creata da David Simon, prodotta dalla HBO e andata in scena dal 2009 al 2013, la città si è appena ripresa dall’uragano Katrina. C’è la ricostruzione, ci sono le tangenti da pagare e gli abusi della polizia in una città che è stata per lungo tempo una terra di nessuno, abbandonata dalle istituzioni, ma in cui, ancora e sempre, risuona un sacco di musica. Che è poi il cuore su cui si regge l’intera opera: dai trombettisti di strada che cercano la via del successo, a quelli che fanno la spola da New Orleans a New York, a quelli che suonano sempre negli stessi club, a quelli che si devono trovare un “job job” perché sennò come si fa a mantenere la famiglia? In più, un po’ di crime story, un po’ di politica e corruzione, anche un po’ di cucina. Merita tutto.

The West Wing

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Il contrario di House of Card, nel bene e nel male. E infatti a West Wing (1999-2006) bisogna avvicinarsi con un avvertimento: la serie della Warner Bros, con protagonista Martin Sheen (che io sappia, il primo grosso attore a essersi prestato a una serie), è inondata di retorica. D’altra parte, questo è lo stile del creatore Aaron Sorkin (ragion per cui anche il suo più tardo Newsroom ha ricevuto parecchie critiche) e se si cala l’ambientazione nel mondo della Casa Bianca – dove la retorica più spinta la fa da padrona – beh, meglio prepararsi. Sette stagioni da 22 episodi l’una (sì, è molto lunga, ma le puntate durano 40 minuti) ambientate nell’ala ovest della Casa Bianca, quella dove alloggia il presidente e dove lavorano il suo chief of staff, il suo ufficio stampa, il suo capo della comunicazione, i suoi strateghi politici. In West Wing non trionfa il male, a differenza di House of Card; perché l’obiettivo sarà anche la conquista del consenso e il mantenimento del potere (o viceversa?), ma se nel mezzo si può provare a fare del bene, allora perché no? Una serie tv che è un manuale di comunicazione e strategia politica, e non è un caso che qualcuno ha fatto degli articoli del tipo “come capire tutto di una campagna elettorale grazie a West Wing”. Imperdibile la puntata che è un vero e proprio dibattito tv tra i due candidati, per tutta la sua durata. Ah, nel caso ve lo steste chiedendo, anche in questo caso i protagonisti sono i democratici, ma quelli buoni.

The Wire

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La crime story perfetta. Ogni stagione, un’indagine ben precisa, da seguire passo passo in ogni sua evoluzione. Ogni episodio, un piccolo tassello che si aggiunge. The Wire (2002 – 2008, HBO) è ambientata a Baltimora, la seconda città più pericolosa degli Stati Uniti dopo Detroit. Un ritratto iperrealista, duro, che parte dal traffico di droga nel ghetto per poi affrontare il sistema portuale, la burocrazia, la politica, il sistema scolastico, la stampa. Tutto inevitabilmente corrotto. David Simon, autore anche di Treme, non ama che si parli di The Wire come di un “crime drama”, ma più di un’opera “su una città americana e sul come si viva assieme. Su come le istituzioni e la loro corruzione abbiano degli effetti concreti sulla vita delle persone”. A rimanere nell’immaginario di chiunque abbia seguito questa serie, però, sarà soprattutto il duello a distanza – che attraversa tutta la serie tv – tra Jimmy McNulty e il corpo di polizia e i kingpin dello spaccio Avon Barksdale e Stringer Bell. E ovviamente sarà impossibile dimenticare il personaggio di Omar Little, che terrorizza ogni quartiere in cui si intrufola, a volto scoperto, in pieno giorno, armato di fucile, per rubare soldi o droga. “Omar’s coming”, avvisano le giovanissime sentinelle del “ghetto”. E tutti scappano a nascondersi.

I Soprano

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Questa è LA serie tv per definizione. La più celebre in assoluto. Un’ideale controparte a successi mainstream da dimenticare in fretta come Lost. Definirla “da recuperare” forse non ha molto senso: qual è l’appassionato di serie tv che non ha seguito Tony Soprano e Christopher Moltisanti? E però ormai I Soprano inizia ad avere i suoi anni, essendo andata in scena – sempre per merito della HBO – dal 1999 al 2007, quindi è possibile che i più giovani, o chi segue da poco l’universo delle serie americane, se la sia lasciata sfuggire. Va da sé, come tutte le opere davvero ben riuscite, non è destinata solo agli appassionati di storie di mafia, o solo a chi è impazzito per il Padrino e Quei bravi ragazzi. Perché il sottobosco della mafia italoamericana del New Jersey è solo un pretesto per raccontare qualcosa di molto più profondo, di molto più universale. Qualcosa che ha a che fare con la crisi dei valori, con il nichilismo, con gli affetti, con le ragioni (e le scuse) che ci permettono di giustificare quello che facciamo. Perché alla fine, come insegna Livia Soprano, “la vita è una montagna di niente. Cosa ti fa credere di essere così speciale?”.

@signorelli82

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