Beni culturali
Triennale, il design non vale un cartier
Vi dovevo un aggiornamento, in realtà ce lo dovevano, ma il punto è che dall’ultima volta che ne ho parlato (qui) a oggi non è successo molto in Triennale. Anzi, diciamoci la verità: non è successo niente.
Lo scorso autunno in una roboante conferenza stampa al Teatro dell’Arte erano state fatte diverse promesse, alcune piuttosto sensate, che raccontavano di una “straordinaria” (aggettivo che pare andare per la maggiore nel vocabolario del comitato attuale, ahimè alzando l’asticella delle aspettative sempre un po’ sopra la loro effettiva realizzabilità…) mostra su Enzo Mari prevista per questo autunno, rispettando il rituale delle grandi monografie dedicate ai designer a inaugurazione della stagione. A fine giugno, dopo ripetute richieste di avere maggiori dettagli – ah, la prassi di chi si occupa di comunicazione e pretende di dettare i ritmi alla creatività – mi è stato risposto con un tweet da Triennale – ah, la prassi di chi si occupa di comunicazione… – che per metà luglio sarebbe stata convocata una conferenza stampa nella quale ci sarebbe stato spiegato tutto per filo e per segno. Ma niente. A luglio non è successo, agosto complice assecondava l’ulteriore slittamento, e quindi eccoci qui a metà settembre con una nuova conferenza stampa, a dire il vero un po’ meno roboante e molto meno partecipata di quella precedente. Se vogliamo, una conferenza stampa anche un po’ sui generis, considerando che accanto alle moltissime promesse, alcune delle quali anche motivanti, sono state fornite pochissime date precise, nessun numero economico, neanche una banale immagine che ci racconti come, visto che il quando non è dato da sapere e il cosa, si sa,finché non si vede… Conferenza stampa anomala ancheconsiderato che la parte riservata alle domande della stampa – vogliamo pensare per una gaffe logistica della regia? – è stata rimandata a colloqui semiprivato tra giornalisti e addetti sul palcoalla fine.
Però stavolta c’era davvero una grande notizia da dare che è l’ingresso di Fondation Cartier come grande (quanto grande numericamente non si sa, nel senso che non è stato chiarito l’ordine di grandezza del sostegno economico) partner. Un patto che sembra gestito bene e con la dovuta delicatezza pubblico-privato, Italia-Francia,liason sappiamo dettata da alcune urgenze ma non sappiamo dettata da quali vincoli. Quello che si intuisce è che la Fondazione avrà importante voce in capitolo sui contenuti e che la Triennale diventerà un circuito per le mostre francesi in Italia. Parliamo di arte contemporanea, insomma. Quindi, ecco, parliamo di un’urgenza che non lo è, non a Milano. Non ora. Ma immagino sia chiaro a tutti, specialmente ai professionisti attenti che lavorano per Triennale, che giocare in serie B rispetto a Fondazione Prada e Hangar Bicocca non avrebbe molto senso.
Poi parliamo di architettura, molta. Anzi, ne parla Joseph Grima che, a questo punto, sembra subentrato a Lorenza Baroncelli nel ruolo di curatore dell’area (?), definitivamente, così appare, confermando la delega della Baroncelli alla direzione artistica come qualcosa di abbastanza strutturato. Evviva. E allora il design? Su Marco Sammicheli, responsabile delle relazioni internazionali, che sembrava il candidato più centrato per tirare il rigore, non si sa molto. Ma c’è chi spera in lui, compresa la sottoscritta, non fosse altro perché è tra i pochi che ha compreso lì dentro come le relazioni, anche nazionali, con i vari interlocutori siano preziose e vadano coltivate con una sapienza anche politica che non è per neofiti.
Tranquilli, ci sarà la mostra di Enzo Mari curata da Obrist. Non abbiamo una data ma abbiamo la certezza che in parte riprenderà quella torinese del 2008, in parte vedrà un’area editoriale dedicata al lavoro grafico e teorico del designer milanese e in parte alla sua voce. (Non chiedetemi di più, riporto quello ho capito). Ci sarà anche una mostra dedicata all’altro eroe milanesissimo, Vico Magistretti, curata dalla Fondazione, durante il Salone. E poi? Beh, poi c’è il Museo del Design che ci dicono orgogliosamente aver fatto 39.000 visitatori nei primi tre mesi (dopo averci detto che Broken Nature, la mostra curata da Paola Antonelli al piano superiore al museo, in 6 mesi ne ha fatti 240.000 e sarà meglio non dire che quelli del Design Museum di Londra, che ha una collezione molto più piccola, hanno uno zero in più). Sul Museo del Design eravamo rimasti ad aprile con l’annuncio che a maggio sarebbe partito un bando per la progettazione dell’ampliamento di 4mila metri quadri con un fondo di 10 mln vincolati che Bonisoli aveva promesso di stanziare. Il bando non è mai partito, come vi sarete accorti, in compenso è partito Bonisoli, ma Stefano Boeri ha confermato oggi che il neo ministro Dario Franceschini ha dato l’ok ad andare avanti, quindi questione di firme e dovremmo esserci. Poi c’è l’altro fronte di ampliamento, su cui un bel po’ di specialisti avevano insistito, che era quello dei contenuti e anche su quel versante arriva a tranquillizzare gli animi la conferma che nascerà un comitato guidato da Gabriele Neri con l’incarico di dedicarsi alle acquisizioni, in dialogo con Fondazioni, Archivi, Musei Impresa et al.
Del progetto di cui in molti avremmo voluto sapere, cioè il “Back To Muzio”, ovvero l’intervento sull’impianto architettonico del Palazzo dell’Arte per riportarlo alla visionarietà fantasista diquello che era nel 1933 quando venne progettato da Giovanni Muzio, non si sa molto. A parte che sarà sotto la direzione artistica dell’architetto Luca Cipelletti. Ma Cipelletti non era lì, in conferenza stampa, non è stata mostrata una planimetria, non è stato spiegato in alcun modo come pensano che le attività consuetudinarie possano svolgersi abitualmente durante questi interventi, ma in fondo non sappiamo neanche il peso di questi interventi che sono già in partenza, nemmeno economico. Quello che sappiamo, chi più chi meno, milione più milione meno, è che la situazione in cui versa il bilancio di Triennale è da prima che si insediasse la nuova era, molto mal messa. Ecco, nonostante la simpatia trascinante che si può provare per l’utopia dei violinisti sul Titanic, anche a chi come la sottoscritta ha poca idea ragionieristica di come si rientri di un debito così importante, non può non destare qualche perplessità il fatto di investire molti soldi, per rifare il mosaico Bisazza della doccia, quando l’impianto idraulico non funziona. Ma Lorenza Baroncelli dice che è consuetudine dei più coraggiosi governi quella di intervenire in modo sostanziale sulla forma anche architettonica che li ospita e lo dice a un pubblico di astanti seduto in un Teatro dell’Arte portato come esempio del grande intervento, astanti che – secondo me – non si sono neanche accorti che erano cambiate le poltroncine su cui poggiavano.
Ma insomma, il messaggio passato è chiarissimo ed è, letteralmente, che il design almeno fino al termine del prossimo mandato, appartiene al passato, alla polvere e ai faldoni. È una scelta – spero non la conseguenza di una non scelta – molto radicale e che, come tale, ho fiducia che possa dare la proverbiale botta di vita anche alla disciplina di cui ci occupiamo. È una discontinuità reale, operativa, programmatica e, perché no, politica, che personalmente credo possa anche far bene stare a guardare dal fuori, per imparare cose nuove. Speriamo che Cartier sia davvero provvidenziale e a lungo, come i migliori gioielli: “un simbolo d’amore. Una creazione che dura nel tempo”, come dice la réclame.
Invece possiamo smettere, almeno temporaneamente, di sperare che Triennale sia un luogo rivolto al dibattito pulsante sul design odierno, sullo stato dell’arte di questa disciplina che, vale la pena ricordarlo, ogni anno moltiplica i corsi a esso dedicati e conseguentemente aumenta le aspettative dei migliaia di studenti che sempre più numerosi arrivano da tutta Italia e da tutto il mondo nelle nostre scuole perché qualcuno ha detto loro che questa era la patria del design. Spero che il sindaco, il ministro e il consiglio di amministrazione abbiano ben ponderato la conseguenza di tutto ciò. E cioè, signori, che la patria, da oggi, è in cerca di una nuova casa.
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