Beni culturali
Tre anni dopo: su Matera avevamo ragione
Scritto con Luca Servidati
Nel 2013 abbiamo girato Voci di sassi: appunti per un film su Matera. Non ci pensavamo quasi più, le volte in cui lo facevamo ci rimproveravamo di essere stati troppo ideologici: indagavamo e denunciavamo l’assenza di un legame con la tradizione contadina, con la purezza descritta da Pasolini e la magia cantata da Ernesto de Martino e Carlo Levi. Così parlavamo: erano “rimasti solo i sassi a trasmettere un’umanità spiritualmente esaltante e curativa: ma dov’era l’uomo? dov’era l’integrazione tra passato e presente? E quale é l’eredità del nostro tempo?”.
Ideologici perché abbiamo fatto nostra la nostalgia di cui i testi di Pasolini sono intrisi. Una nostalgia nei confronti di una cultura che ad oggi ci sentiamo di sostenere non essere mai esistita, almeno così come lui la descriveva.
A distanza di tre anni dalle riprese del documentario siamo partiti per Bari in occasione del concerto di Benjamin Clementine (una vera storia di riscatto attraverso l’arte).
Bari vecchia, San Nicola, il Teatro Petruzzelli e il ristorante “ai due ghiottoni” (dove il cibo è superlativo anche se manca l’innovazione) sono i luoghi che ci hanno stregato di Bari. Il resto è periferia d’Italia.
Abbiamo assistito quasi casualmente ad una conferenza all’Università di Bari su Pasolini e quella che sta emergendo filosoficamente come italian theory: un’utile trovata di marketing americana che ha dato spazio ad una manciata di filosofi italiani quali Agamben, Esposito e Tony Negri (in America è da poco che i ricercatori possono inserire nel proprio curriculum la voce “Agamben studies”). Altra cosa é parlare del ruolo della filosofia nel mondo di oggi.
Un’intera generazione di filosofi accademici è assai in difficoltà, ed oggi più che mai occorre interrogarsi sull’utilità della filosofia come pensiero in grado di incidere e direzionare l’etica. Occorre trovare urgentemente una sua ricollocazione al di là e oltre le scienze cognitive che meritano indubbiamente grande rispetto.
Colti da un quieto turbinio di riflessioni siamo ripartiti per Matera. Davanti a noi la meraviglia di sempre, un luogo senza tempo che ti cura l’anima.
Ma come dicevamo: erano rimasti solo i sassi ad incarnare il legame tra tradizione e modernità oppure qualcosa in più era stato fatto sullo sviluppo turistico e culturale del territorio? Tre anni fa Matera non era ancora stata designata capitale della cultura europea 2019. Più tardi si é guadagnata il titolo.
Purtroppo, però, quelle che tre anni fa suonavano come intuizioni di due giovani e inascoltati filosofi, ci vengono ora confermate – da autorevoli personalitá del mondo istituzionale e culturale materano – come un pericolo reale per il futuro sviluppo del territorio. Non sono certo mancate idee intelligenti e brillanti: per esempio il progetto di abilitare a museo storico-tecnologico la zona sottostante a Piazza Vittorio Veneto poi naufragato nonostante l’assegnazione di 4 milioni di euro spesi per un progetto di deumidificazione della stessa area. Oppure l’idea di progettare piazza 2000 (nell’ipotetico prosieguo che va dalla piazza del ‘400 sino alla piazza novecentesca, l’attuale Piazza Vittorio Veneto, creando un percorso storico coerente).
Quello che manca, allora come adesso, è una organo di comando (non formale ma reale) in grado di ricostruire una forte identitá da comunicare all’esterno, di dettare le linee guida di uno sviluppo culturale e turistico omogeneo, che parli il linguaggio della modernità ma sia in grado di introdurre i turisti (in aumento del 100%) alla storia e alla sacralità del luogo. Di fatto i Sassi continuano invece ad essere vessati dal proliferare di bed&breakfast e attività commerciali frutto di uno sviluppo casuale, lasciato alla mercé di una società civile attiva e capace che manca però di una guida strategica.
Tutto ciò è riconducibile all’inadeguatezza della classe politica – alla quale ci eravamo sì appellati nel nostro Voci di sassi, ma invano – che ha obliato il proprio ruolo: quello amministrativo. La politica cessa di essere virtuosa quando diviene meschina gestione del potere. Una vecchia storia insomma che purtroppo sembra non morire mai. Su La Repubblica di giovedì 28 aprile, non a caso, Roberto Saviano lancia un appello al Governo che inizia così: “Il Sud sta morendo. Il Sud é già morto“.
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