Beni culturali

Tra Italia e Tunisia: archeologia e teatro per ritrovare il Mediterraneo

30 Marzo 2015

Necropoli e Nekia sono due termini con la stessa origine: Nekros,” morto”, deriva da Nek,” corpo vuoto”, e Nekia è detto il canto XI dell’Odissea, ossia il viaggio di Ulisse nell’Ade.

A Populonia, adagiata nel bellissimo golfo di Baratti, la prima, vera, giornata di caldo ha visto il dipanarsi di un suggestivo percorso archeologio-teatrale che ha reso affascinante il “viaggio nel regno dei morti”.

È Nostoi, storie di ritorni e di esodi, una “visita sperimentale” nel sito archeologico etrusco che mette assieme la meraviglia della memoria e la fantasia del racconto. Frutto di un progetto di cooperazione internazionale tra Italia, Francia e Tunisia, con finanziamenti europei, il primo capitolo di questo progetto ha messo assieme gruppi diversi di giovani artisti e performer provenienti dai due paesi, guidati dal regista greco Michael Marmarinos.

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L’idea di base è molto semplice: come attraversare poeticamente l’imponente sito archeologico? Come rendere vive e presenti le rovine con l’azione del teatro? Si tratta, insomma, di far parlare l’archeologia, di inventare un’accezione diversa, forse nuova, di “visita” in un sito, dunque di innervare contenutisticamente – seppure in un contesto limitato geograficamente – il concetto stesso di turismo.

Il gruppo italo-tunisino ha lavorato intensamente a tessere una trama fatta di evocazioni liriche e dati storico-scientifici. Populonia, unica città etrusca costruita sul mare, ha una storia infinita, di rara imponenza. Populonia rimanda a Popluna che viene da Fufluna e quindi da Fufluns, nome del dio etrusco dell’Ebrezza: vita, morte, passione e compianto. Il regno dei morti di Populonia è stato, dal VII al V secolo, dedicato agli aristocratici etruschi. E quei tumuli, quelle tombe sparse qua e là, toccate dalla brezza del vento, sovrastate dalla Acropoli e dal Castello, sono ancora magnifiche tracce di quel passato millenario. Antica città siderurgica, ricca di ematite, Populonia ha commerciato ferro con greci, romani, punici, sardi, corsi: il cielo era nero di fumo, ricorda il geografo Strabone nell’anno 0. L’ematite veniva dalla vicina Elba, e nei forni si mutava in ferro: 40 unità di carbone davano una unità di ferro.

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Qui, su questa terra, si lavorava alacremente il ferro, qui è stata trovata la statua di Aiace, datata 500 a.C. Nostoi racconta tutto ciò, e molto altro: lo fa delicatamente, in un percorso a tappe che è lirico e sottile, garbato e sognate. Mette assieme rimandi e suggerimenti diversi: si rintracciano citazioni del pensiero di Agamben assieme al racconto dei rapporti tra gli etruschi e il popolo nuragico di là dal mare, si spiega la formula molecolare del ferro o ancora si evoca la storia di Patroclo e Achille. Il gruppo di spettatori-esploratori segue una guida che detta regole di visione e di percorso, intercetta come schegge impazzite frammenti di altre narrazioni, di canti o di suoni della natura che entrano nelle cuffie di cui ciascun visitatore è dotato. L’incanto si crea per magia, nella dolcezza dei colli che circondano il sito e nel placido sciabordio del Mediterraneo: quel mare da sempre culla di civiltà, di scambi, di scontri, e oggi come allora silenzioso monito delle tante barbarie di ritorno.

Questo viaggio negli inferi, infatti, si spezza e si invera, amaramente, nella consapevolezza del presente. Sono proprio i protagonisti a sottolinearlo: alla fine del lungo percorso, una giovane donna espone un cartello: “Je suis Salma, Je vien de la Tunisie”. Nella sua immediatezza ci riporta al mondo: proprio mentre a Tunisi si scende in piazza compatti e uniti per condannare l’atroce attacco terrorista, qui, durante le prove di Nostoi, è arrivata a Populonia, come un fulmine, la notizia della carneficina avvenuta al Museo del Bardo. Ma i lavori non si sono fermati, anzi: hanno trovato altra e rinnovata urgenza, altra necessità. Ed è bello sapere che, nonostante il terrorismo, Nostoi ha confermato la prossima tappa a Cartagine, a metà maggio. Lo stesso gruppo italo-tunisino, un altro Maestro a guidarlo.

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Se il greco Marmarinos ha tracciato la mappa di un mosaico fatto di tessere esistenziali e filosofiche, rinunciando sì ad uno “spettacolo” vero e proprio, ma svelando le potenzialità tutte teatrali del sito, in Tunisia sarà la volta di Kais Rostom, scenografo, pittore e musicista, da molti anni collaboratore di Fadel Jaibi, neo direttore del Teatro Nazionale di Tunisi, forse il maggior regista tunisino in attività. A Rostom il compito di inventare un altro racconto tra memoria e presente, tra archeologia e attualità negli spazi di Cartagine Byrsa.

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E questi ragazzi dovranno far parlare le rovine di Cartagine, si confronteranno con quelle tracce di passato lontano e vicinissimo, nel tentativo – disperato ma non inutile – di ridare spazio al dialogo, all’immaginazione, alla poesia tra le due sponde del Mediterraneo. Sono bravi e generosi, anche se con apporti diversi, i giovani interpreti, e vale la pena, allora citare tutti gli attori: Costantino Buttita, Francesco Calistri, Gemma Carbone, Elena De Carolis, Sara Fallani, Alessandra Guttagliere, Sena Lippi, Marco Malevolti, Emanuela Masia, Cristina Pancini, Veronica Rivolta, Matteo Tanganelli, Valeria Meneghelli, Habib Nemri, Mariem Turki, Abir Cherif, Arbia Abbassi, Asma Slaimi, Salma Ben Lagha, Hela Ben Amar, Najla Arous, Rawya Ibrahmi, Amine Makni, Mohamed  Ksouri, Hamdi Samaali, Zied Ben Slama, Moez Achouri, Marina Arienzale, Pamela Barberi, Serena Gallorini, Simona Arrighi, Francesco Canavese. Sono tutti volontari, coinvolti nel progetto da Fabbrica Europa, Teatro Nazionale di Tunisi, Laboratorio Nove, e per capofila la Cooperativa Archeologia di Firenze, con altri partner di settore come l’Agenzia per la Valorizzazione e la Promozione dei Beni Culturali (Amvppc), che fa capo al Ministero della Cultura della Tunisia, nell’ambito dell’Anno dell’Archeologia della Regione Toscana.

Anche sulle loro spalle sta il futuro di un Mare Nostrum che possa essere sempre nuovo e, si spera, diverso.

 

 

 

 

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