Beni comuni

TETTI CHE SCOTTANO, Via Libia: lo spazio pubblico ribaltato

16 Maggio 2020

Un invito all’azione chiaro e preciso, quello declamato dall’artista Antonio Ottomanelli dai tetti della sua città Bari, più precisamente dal tetto della sua abitazione nel quartiere popolare di Madonnella in Via Libia, da cui prende il nome la video serie performativa ideata in collaborazione con Giacomo Scoditti.

Durante il lungo stato di emergenza che ha attraversato il pianeta, in Italia abbiamo assistito ad un fenomeno che ha contraddistinto l’esposizione mediatica del nostro paese: il popolamento dei balconi, ma soprattutto dei tetti.
I tetti sono diventati spazi di necessità e di condivisione sociale, milioni di metri quadri che per la loro predisposizione architettonica tipica dei paesi mediterranei sono diventati luoghi di ossigenazione.

I palazzi hanno preso corpo e vita con le loro protesi aggettanti nello spazio pubblico e hanno parlato alla città, sono diventati performativi e hanno espresso pareri, si sono imposti.
Lo spazio pubblico è stato ribaltato, la socialità ha smesso di scorrere in arterie interconnesse attraverso lo spostamento fisico delle persone, è avvenuta su isole aeree comunicanti attraverso performance e world wide.

Abbiamo assistito a rituali quotidiani che hanno scandito la sospensione del nostro vivere che era, e che si spera non sarà più.
Ed è dalla gestualità del rituale che prende forma l’intervento di Ottomanelli e Scoditti: il recarsi sul tetto, accendere il microfono, collegarlo alle casse e dar vita al discorso. La ripresa video ma con un pubblico tangibile ha permesso di trasferire sul digitale qualcosa che fa parte di un sistema di relazioni.

Sicuramente è cambiata l’iconografia del web a cui già tossici da tempo, ci siamo aggrappati spasmodicamente per colmare ancor più il senso di vuoto e di angoscia che ci ha collettivamente pervaso in una notte.
In ambito culturale dopo un primo momento di euforia e sovraesposizione generale, alcuni (pochi) hanno preferito il silenzio, altri hanno deciso di sottrarsi alla tappezzeria culturale dei social e di prendersi cura di ogni momento condiviso nei contenuti e nella forma.
L’opera di Via Libia si differenzia proprio nei dettagli della cura che partendo dalla scenografia essenziale, dalle inquadrature e dalla fotografia orchestrata da Anna Vasta, si manifesta soprattutto nell’avanguardia dell’eloquenza.

Il progetto ancor più che un’indagine nelle crepe della politica contemporanea mira a ribaltare il concetto tecnocratico che la politica ha assunto negli ultimi anni, riportandone alla luce la sua funzione prefigurativa che si deve basare a detta dei due artisti su una visione ideologica.
Dalla posizione alta dello sguardo, dal tetto appunto, la quinta facciata del palazzo come lo ha definito Boeri, l’ideologia viene applicata allo spazio pubblico, arrivando alla sublimazione dell’essere, con l’intento di scardinare il modello proposto del capitalismo avanzato.
Un progetto di visione e di educazione al guardare che intende discutere un nuovo strumento del reale, che ha la necessità di basarsi su un sistema di ingranaggi ecologici e sostenibili che vadano a comporre un corpo politico deciso alla trasformazione.
Un manifesto che reclama un reddito universale e mira alla felicità diffusa, non alla mera sopravvivenza di milioni di persone disperate e destinate alla povertà assoluta nei prossimi mesi.

Promotori dell’urgenza sono gli artisti, proprio quegli artisti ingenuamente ridicolizzati dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la presentazione del Decreto Rilancio, il Presidente se ne dovrà fare una ragione, la chiamata alla mobilitazione ha sempre radici prefigurative, e l’arte lo è sempre stata, mai come in questo momento.

La linea limite è stata data, il Covid 19 ha reso evidenti le criticità che sono molto più terrifiche del virus stesso, si deve fare una scelta, adeguarsi al sopravvivere sarebbe inumano e controproducente all’affioramento della nostra autocoscienza, unico mezzo per non schiacciarsi sul presente.

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